Unfriended, la morte corre su Skype. La recensione

Cyber bullismo, invasione della privacy, dipendenza dai social: il nuovo horror della Blumhouse Production si rivolge alla generazione web di oggi, come un The Blair Witch Project in versione broadcast. E fa centro

The Blair Witch Project ha dato il via al filone degli horror found footage. Paranormal Activity ne ha proseguito la tradizione, aumentandone la portata virale. E oraUnfriended punta a ridefinire i canoni di un genere sfruttatissimo e di cui spesso si è solo abusato. Come? Con un’idea scardinante, rivolta direttamente alla generazione di oggi, quella che costruisce le proprie identità sui social network, che chatta parlando con abbreviazioni ed emoticon, che condivide e che il web lo conosce come le proprie tasche. O almeno, così pensa.

L’horror di Levan Gabriadze è l’ennesimo film a micro-budget della Blumhouse Production (la casa dei vari InsidiousThe ConjuringLa notte del giudizio). Costato solo 1 milione di dollari, racconta la storia di un gruppo di adolescenti che si ritrovano perseguitati su Skype e Facebook da un’entità misteriosa, che sembra essere il fantasma di una loro compagna di liceo suicidatasi un anno prima a causa di un suo umiliante video diffuso in via anonima su YouTube. Se lo spunto narrativo (il fantasma che torna per vendetta) non rappresenta una novità, a stupire di Unfriended è anzitutto la messa in scena: la storia infatti si svolge per intero sullo schermo del computer di Blaire, una dei protagonisti, che si riprende con la webcam insieme ai suoi amici. I classici trucchetti del mestiere – luci che si spengono, rumori improvvisi, porte che sbattono – sono sostituiti dalle improvvise interruzioni di connessione e dalle immagini sgranate delle live-chat, che moltiplicano i punti di vista. Il resto sono corse frenetiche su Google alla ricerca di informazioni, finestre pop-up che si aprono a ritmo infernale, foto e video condivisi. E un “gioco della verità” tra lo spirito in questione, un utente senza volto impossibile da eliminare/bannare/bloccare, e i suoi bersagli.

Un’iper-virtualità che tocca diverse tematiche: dal cyber bullismo al sesso su Internet sino all’uso incontrollato dei social media, dove il confine tra pubblico e privato è sempre più sottile. Potenzialmente, sul web può spiarti chiunque ed è questo pericolo, così attinente alla realtà, l’aspetto più inquietante e ansiogeno degli 83 minuti di durata, al di là dell’elemento soprannaturale e delle morti violente. Quello di Unfriended è un ritratto generazionale estremo, in cui ai liceali protagonisti non viene risparmiato nessun giudizio morale, ma offre spunti interessanti sia a livello sociologico (la dipendenza dai social e dalla tecnologia in generale e l’effetto che questa ha sui giovani) sia a livello di linguaggio cinematografico: dalla videocamera diThe Blair Witch Project e Paranormal Activity, qui si passa a un’estetica multimediale e broadcast che ormai regola le vite di tutti. Persino la campagna promozionale si è fondata sulla creazione dei finti profili Facebook dei singoli protagonisti, come una sorta di evoluzione 2.0 del dossier della strega di Blair.

Unfriended è un prodotto “multidevice”, che si presta sia alla visione al cinema sia a quella su altre piattaforme (giusto per aumentare il coinvolgimento con quanto raccontato nel film). Sta al passo coi tempi, parla ai ragazzi di oggi e li mette in guardia: sloggarsi, a volte, non è sufficiente.

 

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