Venezia 69: Outrage Beyond, Kitano consuma la violenta vendetta di Otomo nel suo primo sequel

Il regista/attore giapponese presenta al concorso principale del Festival la sua ultima fatica. Ecco la nostra recensione

Guarda le fotogallery dal Lido, leggi le recensioni e scopri tutte le news nel nostro speciale da Venezia 69. Clicca qui

2010, 63esima edizione del Festival di Cannes: Outrage. Otomo, il boss di una famiglia minore della yakuza finisce vittima dei complotti dei suoi superiori. Vede soccombere i suoi sottoposti uno dopo l’altro. Così, mette da parte l’onore e si consegna alla polizia.

2012, 69esima Mostra di Venezia: Outrage Beyond. La detenzione di Otomo sta per concludersi su condizionale, grazie alle macchinazioni di un agente di polizia doppiogiochista, che scende a patti con la mala nel tentativo di tenerla a bada. Durante la sua prigionia, gli uomini che lo hanno incastrato si sono ritirati o hanno occupato le poltrone di comando dell’organizzazione criminale. Nemici pentiti e nuovi alleati lo convincono a rimettersi in gioco.

Per la prima volta nella sua carriera, il regista/attore Takeshi Kitano (anche questa volta nella doppia veste di autore e interprete protagonista, sotto lo pseudonimo di Beat Takeshi), si concede un sequel e lo presenta al concorso principale del Festival veneziano. Il pubblico in sala lo accoglie tra gli applausi fin dai titoli di testa, per poi celebrarlo anche in chiusura.
Il film, tuttavia, non giustifica completamente l’entusiasmo degli estimatori, perché ripercorre pur se sapientemente una strada già battuta in passato e lontanissima ormai dal periodo intimista dell’autore, che ha toccato i suoi apici con opere drammatiche come Dolls. Outrage Beyond è esattamente ciò che ti aspetti: una macchina di citazionismo gangster – tra pulp, trash, ironia e comicità (volontaria o meno) -, già avviata altrove e sugellata nel primo capitolo. Una via dove Bene e Male, polizia e malavita ancora una volta non hanno confini. Una via dove la tensione raggiunge la vetta con soluzioni sempre più spietate, improbabili e dolorose che gli yakuza escogitano per farsi giustizia tra pari. Alla fine di questa edizione del Festival, però, di tutto questo forse rimarrà ben poco di memorabile.

Caldamente consigliata la versione in lingua originale sottotitolata per poter meglio apprezzare importanti (volute o meno) sfumature comiche dei toni dei dialoghi, che un doppiaggio – per quanto buono – non riuscirebbe mai a restituire, ma decisive per assaporare pienamente l’atmosfera di alcune sequenze.

© RIPRODUZIONE RISERVATA