Un po’ Kafka, un po’ fantascienza distopica ma ambientata oggi. Così si offre sin dalle prime battute ai nostri occhi Superstar, film in concorso alla 69ma Mostra di Venezia, del regista belga Xavier Giannoli. Sospeso tra inquietudine e incredulità, il film esplora il tema della fama e dei suoi meccanismi perversi ed è curioso che sia presentata nello stesso mese in cui il nostro Reality di Garrone (premiato a Cannes), vicino a esso per affinità elettive, esce nei cinema.
Qui però la faccenda si ribalta completamente: se nel film del regista napoletano il protagonista è ossessionato da una possibile partecipazione al Grande Fratello, qua invece un uomo comune si ritrova improvvisamente braccato da una folla di ammiratori che lo insegue senza un perché.
Dalla sera alla mattina l’anonimo Martin Krasinski ( in modo più convincente che nel caso del Benigni di To Rome with Love), a cui presta il volto spiegazzato e abulico Kad Merad (Giù al Nord), diventa celebre e perseguitato da una folla che lo immortala con gli smartphone, lo filma, lo posta e gli chiede autografi.
Ma Martin, a differenza di tutti coloro che lo circondano, è L’uomo che non voleva essere famoso, come recita il sottotitolo inglese (The Man Who Didn’t Want to Be Famous) e l’attenzione morbosa che gli si crea attorno non solo non lo rende contento, ma gli fa sviluppare un’allergia alla pelle molto forte.
Giannoli crea una discreta commedia grottesca che mette alla berlina l’ossessione contemporanea per lo sguardo altrui, ma che viene appesantita dalla sua struttura geometrica e studiata a tavolino. A nessuno importa davvero cosa abbia fatto Martin Krasinski nella vita, ma il fatto stesso che tutti lo inseguano lo rende di colpo interessante e “postabile, invertendo il meccanismo classico della fama: si fa qualcosa per cui si diventa famosi e quindi si viene inseguiti, qua è il fatto stesso di essere inseguiti che trasforma in idoli.
Martin si fa convincere dalla bella produttrice Fleur (Cecile De France) a partecipare a un talk show in cui possa scoprire il motivo della sua improvvisa fama. Perché? È la domanda che Martin ossessivamente continua a fare a se stesso e agli altri. Perché?
La risposta ovviamente sembra interessare solo a lui, mentre tutti quelli che gli stanno attorno pensano solo a come trarre il maggior profitto dalla situazione: dal presidente della Rete che sogna di realizzare una fiction sulla vita dell’uomo mediocre alle prese con la fama al presentatore Alban che vorrebbe coinvolgerlo come testimonial di locali porno. L’unica che sembra avere scrupoli emotivi e deontologici è Fleur, verso cui Martin nutre un innegabile interesse, un feeling che creerà un interessante triangolo con l’affascinante Jean Baptiste del canale.
Ispirandosi al romanzo di Serge Joncour, L’idole, Giannoli sembra divertirsi molto nel descrivere l’ascesa e la caduta di un signor nessuno, ma quello che potrebbe essere uno straordinario territorio di esplorazione, resta un banale spunto narrativo, tanto che dietro l’intreccio e le ovvie metafore e riflessioni che possono scaturire da una storia del genere non sembra nascondersi altro.
La parte più interessante e divertente è quella legata agli spregiudicati meccanismi dei filmati YouTube, alla loro diffusione, a come vengono scomposti e rimontati, così da trasformare quello che fino a poco tempo prima era un idolo in un “mostro” pericoloso da lapidare e minacciare. Emerge anche la sottile consapevolezza di come siamo tutti circondati da una violenza strisciante, pronta a scoppiare in qualsiasi momento se aizzata dalla community multimediale e di quanto improvviso e volatile sia il meccanismo della fama (La gente non ha pazienza, si stanca subito e passa ad altro, spiega – parafrasando – il direttore di Rete a Martin quando ormai disperato cambia idea sulla fiction di cui sopra). C’era tanta carne al fuoco da cucinare, ma si è fatto più fumo che altro.
VOTO 2/5
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