Venezia 71: Andrew Garfield padre sfrattato e senza scrupoli in 99 Homes. La recensione

Nel film di Ramin Bahrani, lo Spider-Man di Marc Webb scende a compromessi sempre più ripugnanti per garantire una casa alla sua famiglia

Sembra che l’America non sappia elaborare un discorso sul proprio sistema economico e di valori senza ricorrere al topos del patto con il diavolo. 99 Homes opera sul tema una variazione infinitesima, aggiungendo a film come Wall Street e The Wolf of Wall Street, e alla loro teoria sociale, poco e niente. Ramin Bahrani – che due anni fa al Lido aveva parlato di emergenza economica con At Any Price, sollevando il medesimo torpore –  racconta la storia di Dennis Nash (Andrew Garfield), giovane padre single, che viene colpito due volte dalla crisi del mercato immobiliare: operaio tuttofare che lavora nell’edilizia, perde il lavoro per assenza di commissioni, e si ritrova senza casa per l’impossibilità di coprire il mutuo. Si trasferisce con madre e figlio in un motel, e ricomincia a cercare impiego. Alla fine glielo dà Rick Carver (Michael Shannon), proprietario di una impresa di sgomberi al servizio di banche e governo (rende operativi gli sfratti), in realtà milionario grazie alla compravendita di case e allo sfruttamento di piccoli bachi legislativi.

Il film parte in quarta, con la lunga e angosciante sequenza dello sfratto di Nash, poi si limita a illustrare i compromessi morali sempre più ripugnanti del ragazzo, forzando secondo manuale i termini della questione in modo da spingere lo spettatore fino al fondo della predica, mettendolo con le spalle al muro. In realtà, come accade quasi sempre in queste parabole faustiane, le battute migliori – le meno conformiste – le ha il Diavolo. Quando sottolinea ad esempio che comprare a credito, senza precauzioni e senso di responsabilità (“Quella coppia 8 anni fa ha chiesto alla banca un prestito di 30.000 dollari per costruire un portico senza il quale aveva vissuto benissimo per 20 anni”) è un altro modo di rubare (alle banche, allo stato). E’ lì che il film dice qualcosa di diverso, trasformandoci tutti in complici dell’isteria consumistica che ha portato al collasso, dimenticando per cinque minuti la vena melodrammatica e ricattatoria. Il  resto sono buoni attori con buone intenzioni e materiale di seconda mano.

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