C’è più movimento oggi al Lido. Certo, è sabato, e nel weekend il pubblico aumenta sempre. Ma la verità sta in un nome: Al Pacino. Oggi la scena, le urla della gente accampata davanti al red carpet dalle 8 del mattino e gli obiettivi dei fotografi sono tutti per lui. Il divo è protagonista al Festival di Venezia con due film: The Humbling di Barry Levinson, presentato Fuori Concorso, e Manglehorn del regista David Gordon Green (presente anche lo scorso anno con Joe, interpretato da Nicolas Cage), in gara per il Leone d’Oro (leggi le nostre recensioni).
Quest’ultimo racconta la storia, o meglio la vita, di un fabbro che vive di rimpianti. Molti anni prima si è lasciato sfuggire l’unica donna che abbia mai veramente amato e da allora è ancorato a un passato che non riesce a lasciare andare e che gli impedisce di vivere il presente. Ha un figlio con cui fatica ad andare d’accordo, una nipote che adora, un’amica che per lui nutre ben altro interesse (Holly Hunter) e un gatto che è la sua unica vera compagnia. «La presenza del micio era prevista dalla sceneggiatura e credo che sia stato un elemento fondamentale, che ha contribuito a dare al mio personaggio una certa tenerezza. Io tra l’altro amo gli animali, e forse questo si è percepito nel mio modo di recitare».
Abituati a ben altri ruoli, sorprende – e nel contempo è la conferma del suo grande talento – vederlo calarsi in due figure così fragili e perse (anche in The Humbling interpreta un uomo, un attore, che ha perso ogni stimolo e finisce in terapia in un rehab). «Io non sono mai stato depresso a questi livelli. E non so dire se oggi, rispetto a quando io ho iniziato a fare cinema, si facciano progetti più “deprimenti”. Anche nel caso de Il padrino mi sarei potuto immaginare un Michael Corleone depresso (ride, ndr). È vero che Angelo (questo il nome del personaggio, ndr) è un uomo che vive in un ambiente molto chiuso, quasi in isolamento, ma non ha perso la sua attitudine e apertura verso gli altri. Anzi, li cerca». Il merito dell’intuizione – e della scelta del casting – va a David Gordon Green, che ha saputo vedere in Pacino qualcosa di diverso e costruire il personaggio con lui e su di lui. «Ci siamo incontrati a Los Angeles per la prima volta. Io ovviamente conoscevo i suoi film e ho sempre avuto un’ammirazione nei suoi confronti in quanto attore. Ma in quell’occasione ho conosciuto dei lati inediti di lui; ho avuto delle impressioni diverse. Soprattutto ho ritrovato quei gesti che gli avevo visto fare in Lo spaventapasseri, pellicola per me molto importante. Così mi sono chiesto: qual è la parte di lui che posso utilizzare per un film legato ai sentimenti?».
La risposta è un Pacino delicato, che lascia parlare le rughe del volto e i movimenti lenti di un 74enne, infondendo ironia e verità al personaggio. E mettendosi ancora una volta a servizio di un cinema indipendente, distante da Hollywood, su cui l’attore scherza: «Non ho mai saputo bene che cosa sia o sia stato. Se non sbaglio, si trova in California, giusto? Anzi, mi sembra così strano che io ne stia parlando! Credo che non ci sia più lo spirito dei fondatori e che negli anni sia molto cambiata; e non per gli ideali, ma perché l’economia e la vita sono cambiate. Loro si possono permettere di fare film diversi dai nostri e ci sono molti attori che amano quel mondo. Tra l’altro sfornano anche cose fantastiche! Ho appena accompagnato i miei figli più piccoli al cinema a vedere Guardiani della galassia e trovo che abbia una grande inventiva, intrattenimento puro, su cui non si discute. Ma io sono felice che ci siano al mondo registi come David Gordon Green, Barry Levinson e Martin Scorsese che si dedicano a un altro tipo di cinema».
Un cinema che sa essere anche poetico e nella scena finale cita Blow-Up di Michelangelo Antonioni, «film che abbiamo visto tutti» ammette Gordon Green. «Cercavamo un suggerimento di speranza, una firma che Angelo potesse lasciare come testimonianza del suo essere riuscito a voltare le spalle al passato per guardare al futuro. E la sequenza con il mimo ha dato quel tocco di magia. Certo non è l’unica citazione all’interno di Manglehorn. Ci sono molti riferimenti ad altri film, che hanno ispirato lo sceneggiatore e sembravano adattarsi bene al nostro». Come – qualcuno gli fa notare – la battuta di Scareface, “The World is yours”, che Angelo cita uscendo dalla banca: «Davvero?» risponde visibilmente sorpreso. «Giuro che non me ne ero reso conto e me lo state dicendo voi ora».
«Capite perché è bello lavorare con lui? Perché è capace di sorprendersi e sorprenderti in continuazione. Di immergerti in un mondo in cui si finisce per accettare anche le cose più strane» prosegue Pacino. «C’è la scena surreale in cui Angelo è in banca ed entra un uomo che inizia a cantare. Quando l’abbiamo girata io sono rimasto pietrificato e continuavo a chiedermi: “Ma da dove diavolo ha fatto saltare fuori questo tipo?”. Ero inconsapevole delle espressioni che stavo facendo, e forse questo è il miglior segreto per una recitazione di successo».
Così come l’entusiasmo è la carta vincente di David Gordon Green, che nella sua carriera ha esplorato diversi generi (dalla commedia spinta Strafumati all’indie minimalista Joe) e non ha alcuna intenzione di smettere. «Non seguo nessuna strategia né modello. Mi faccio semplicemente guidare dalla mia passione per il cinema: sono uno spettatore anch’io e amo divorare tantissimi film, di giorno e di notte. Non ho l’ambizione di diventare Kubrick, so che questo non accadrà mai. Ma non voglio nemmeno fermarmi. Il prossimo mese inizierò a girare in Bolivia Our Brand is Crisis, con Sandra Bullock protagonista e George Clooney in qualità di produttore. Dopo tanti film “maschili” sentivo il bisogno di mettere al centro le donne».
«Dunque, a differenza di Angelo, non ha alcun rimpianto?», gli chiediamo ancora. «A livello professionale assolutamente no. Solo in amore. E spero che la donna in questione veda Manglehorn».
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(Foto: Getty Images)
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