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Venezia 71: «La Trattativa è un antidoto al qualunquismo». Parla Sabina Guzzanti

La regista romana racconta tutte le battaglie e gli anni di studio che sono stati necessari per vedere finalmente realizzato il suo film documentario sulla trattativa tra Stato e Mafia

Venezia 71: «La Trattativa è un antidoto al qualunquismo». Parla Sabina Guzzanti

La regista romana racconta tutte le battaglie e gli anni di studio che sono stati necessari per vedere finalmente realizzato il suo film documentario sulla trattativa tra Stato e Mafia

Una qualità certamente inattaccabile (non indiscutibile; usiamo le sue stesse espressioni) di Sabina Guzzanti è la sicurezza – che forse per alcuni ha il sapore della saccenteria e dell’arroganza – con cui affronta e propone i suoi film, e la verità che vi sta dietro. Progetti a cui si dedica con passione e studio.

Best Movie: Vuoi dedicare al Ministero, che ha negato i finanziamenti al film, i lunghi applausi che hanno accolto la proiezione?
Sabina Guzzanti: (ride) «Non solo ci ha negato il finanziamento che io avevo richiesto per poter terminare il film già lo scorso anno, dal momento che per mantenere l’unità di luogo ho girato tutto sul green screen, usando dei modellini per le scenografie; il che necessita di parecchi soldi. Ma non ci ha nemmeno concesso l’interesse culturale che ormai viene riconosciuto anche ai film dei Vanzina. Facendo parte di quel 50% di cittadini che pagano regolarmente le tasse, la cosa mi ha fatto molto incazzare».

BM: Non credi che le persone più informate e appassionate di politica possano già sapere tutto quello che il film mostra?
SG: «Finora non ho trovato nessuno che mi abbia fatto questa obiezione, nemmeno i giornalisti specializzati come Travaglio e Bolzoni. Al contrario, sono rimasti piuttosto impressionati. La missione di questo progetto era trasformare una quantità indecifrabile di verbali, sentenze, atti e testimonianze e trasformarli in un racconto: un’operazione che nessuno aveva mai fatto finora. Io stessa, che credevo di saperne abbastanza sulla questione, mi sono resa conto che non era affatto così; ho dovuto studiare moltissimo».

BM: Avevi già in mente fin dall’inizio di inserire la tua imitazione di Berlusconi?
SG: «A un certo punto avevo bisogno di lui all’interno del racconto, difficilmente avrei potuto avere quello vero, così, avendo questa possibilità… Comunque è solo una comparsa, non è certo lui il protagonista questa volta».

BM: È un progetto di cui si è fatto carico un gruppo di lavoratori dello spettacolo; perché non un gruppo politico?
SG: «Perché la trattativa non è diventata un momento di riflessione politica, tanto è vero che non esiste una commissione d’inchiesta. Il gruppo dirigente che abbiamo ne è proprio il frutto e non c’è nessuna volontà di cambiamento, piuttosto di continuità con quegli episodi».

BM: Non credi che oggi la gente si indigni un po’ meno rispetto al passato?
SG: «Probabilmente sì, è anche più stanca. Comunque questo non è un film pensato per scatenare indignazione, ma per aprire un dibattito. Magari non si troveranno mai i colpevoli delle stragi né verranno individuati e puniti tutti gli attori di questa collusione, ma chi se ne frega. Questo non ci può impedire di ragionare su quanto è accaduto».

BM: Ti ha colpito il fatto che non ci sono donne in questa storia?
SG: «Sì, perché non mi sono trovata una parte…». (ride)

BM: Perché hai scelto questo tema rispetto ai molti episodi di malcostume che ci sono oggi in Italia?
SG: «Proprio perché questo non è un episodio di malcostume, è una coalizzazione di alcune forze oscure di questo Paese che ha impresso – e continua a farlo – un corso diverso alla nostra democrazia. Dopo le stragi l’Italia è cambiata, così come sono cambiati la politica, il rapporto con i cittadini, la cultura, la televisione, i valori… Io penso che oggi la cultura dominante sia quella mafiosa, che tutti abbiamo accettato passivamente».

BM: E questo non accadeva negli anni ’60 e ’70?
SG: «Sì, ma la grande differenza è che allora c’era anche una fortissima opposizione, e dunque una dialettica positiva. Ed è questo che oggi manca: nel momento in cui non c’è più alcun tipo di resistenza né politica né intellettuale, la stessa corruzione e connivenza con la criminalità che c’era prima diventa ancora più sfrontata e inarrestabile».

BM: Pensi che il tuo film possa essere anche un antidoto al qualunquismo?
SG: «Spero proprio di sì; per questo faccio nomi e cognomi. Credo che ci sia bisogno di superare le convinzioni generali, il senso di impotenza e i “ma si sa, Stato e Mafia sono sempre andati d’accordo”, per entrare invece nello specifico, capire esattamente cosa è successo e chi sono i responsabili. Sono convinta che una conoscenza specifica porti a una diffidenza specifica. Lo dobbiamo a persone come Falcone e Borsellino e a tutti coloro che hanno sempre combattuto per uno Stato diverso».

BM: Hai definito il tuo film inattaccabile dal punto di vista legale.
SG: «Sì, ogni singola parola inserita nella sceneggiatura è stata ricontrollata 1.600 volte. C’è una totale onestà dietro ogni affermazione e nella riproposizione degli eventi».

BM: Dopo quella di Berlusconi, pensi di poter indossare un giorno la maschera di Renzi?
SG: «Non lo so. È da un po’ che non faccio imitazioni. Non lavorando più in televisione, mi è pure passata un po’ la voglia».

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