Venezia 73, tesori oltre il concorso: le recensioni dei film delle sezioni Fuori Concorso e Orizzonti

Una selezione, tra cui Monte di Amir Naderi e White Sun di Deepak Rauniyar

Sezione Orizzonti e Fuori Concorso

WHITE SUN
di Deepak Rauniyar
Nepal, Usa, Qatar, Paesi Bassi – 87′

Un sole bianco, come quello disegnato sulla bandiera del Nepal, illumina il secondo lavoro di Deepak Rauniyar dopo che il suo film precedente, Highway era stato il primo lungometraggio nepalese ad essere presentato in concorso in un grande festival internazionale. Anche in questo caso il suo obiettivo è puntato sulle contraddizioni della sua terra, all’alba di una nuova costituzione finalmente raggiunta in seguito alla guerra civile che aveva scosso il paese nella battaglia tra filoanarchici e maoisti. Il pretesto è una messa in scena con toni che vanno dalla commedia al dramma e che vede, chiusi nei limiti di un paesino immerso nei boschi e nelle montagne, tre generazioni di nepalesi al confronto e, soprattutto, due fratelli, uno maoista e uno filoanarchico, riuniti per la morte del padre che, a causa di bizzarre motivazioni religiose, non riescono a seppellire. E’ chiaro l’impianto metaforico di Rauniyar che, nel confronto tra i due riesce a fotografare il difficile momento di passaggio che sta attraversando il Nepal. Un padre morto di cui non ci si riesce a liberare, il conflitto tra fratelli di fazioni opposte e, tra di loro, bambini che non sanno chi sono i loro genitori ma che in un territorio ancora cosparso di mine, sono gli unici a guardare verso il futuro, liberi dai vincoli che ancora imprigionano i loro genitori. L’eccellente fotografia di Mark O Fearghail, la scrittura mai retorica ma esaustiva, le interpretazioni di tutti i caratteri messi in scena, fanno di White Sun una delle visioni più interessanti e allo stesso tempo più istruttive dell’intero festival per capire un popolo che, per la prima volta, non appare poi così distante.

HOME
di Fien Troch
Belgio – 103′

“Con Home ho scelto di girare un film corale, perché volevo ritrarre sia una generazione, sia una comunità.” Queste le parole con cui la regista Fien Troch presenta il suo film nella categoria Orizzonti di Venezia 2016. Un film che, pur infilandosi in quella strada battuta già da decine e decine di film che ogni anno vediamo nei vari festival, ossia quella del conflitto inevitabile tra adolescenti e adulti, è benedetto dal tono e dall’occhio usato dalla regista belga così personale da consegnare una pellicola mai prevedibile e ricca di spunti interessanti. Evitando di percorrere la strada del classico film di ribellione, ma preferendogli la messa in scena in parallelo tanto della vita dei ragazzi quanto dei loro genitori, Home è un meccanismo di scatole cinesi in cui le azioni di ognuno ricadono sull’altro diventando, di volta in volta, causa e reazione di eventi la cui origine è così lontana, così insita nel rapporto famigliare, da non essere più neanche ricercata.
Non c’è una condanna al concetto di famiglia, non c’è un inno alla ribellione, c’è solo la messa in scena della vita di persone che osano, sbagliano, fuggono e restano, cercando, ognuna di loro, di provare a vivere nel migliore dei modi col mazzo di carte che gli è stato messo in mano dal destino. Non sempre ci riescono e, nel quadro messo in scena dalla Troch, probabilmente, chi ne esce più con le ossa rotte sono proprio le donne, ma ci provano sempre. Perché la serenità è una chimera che non ha età.

DIE EINSIEDLER – GLI EREMITI
di Ronny Trocker
Germania, Austria – 110′

“La fotografia è verità, e il cinema è verità ventiquattro volte al secondo.” Sentenziava Godard qualche decennio fa, e l’opera prima di Ronny Trocker, nato a Bolzano e cresciuto sulle alpi italiane, lo dimostra una volta di più. Il mondo arcaico degli ultimi masi alpini, piccole fattorie autosufficienti sparse in luoghi impervi e irraggiungibili ai più è l’oggetto principale del suo cinema, insieme alla difficoltà di comunicazione tra quel mondo in decadenza, relegato a un passato che non tornerà e quello della valle, delle cave di marmo, delle industrie, che sembrano l’unica via d’uscita, l’unica possibilità di poter costruire qualcosa di concreto per sé stessi e per i propri figli. Lo sa bene Marianne, durissima, ma allo stesso tempo dolcissima, madre di altri tempi, simbolo di una vita che non esiste più, che fa di tutto per impedire al figlio Albert di vivere al maso, di seguire il percorso di vita che hanno fatto loro, e di restarsene a valle, dove non dovrà combattere con la durezza di una montagna che continua a togliere non riuscendo più a dare. Ma Albert non ce la fa. Come un animale, anche bendato saprebbe tornare alla sua tana e nel confronto tra l’amorevole rabbia della madre che lo allontana e il suo desiderio di appartenenza alle proprie origini, i due cercano di trovare un posto, fisico e spirituale dove poter stare, senza dover più combattere.

MONTE
di Amir Naderi
Italia, Usa, Francia – 105′

Insensatamente presentato Fuori Concorso – lì dove, invece, il Concorso ufficiale, avrebbe realmente beneficiato di un titolo simile, MONTE è l’ulteriore, ennesima, necessaria, dimostrazione della vitalità e della forza primigenia del cinema che scorre impetuosa in Amir Naderi. Cineasta iraniano, Naderi sorprende tutti scegliendo il racconto della vita di un contadino italiano (Andrea Sartoretti) del medioevo, per dare ulteriore corpo al pantheon dei suoi personaggi ossessionati, messi a dura prova dalla vita, che per sopravvivere dovranno cadere e rialzarsi tutte le volte necessarie a uccidere il dio che tutto gli toglie, di cui tutto li priva, dal cibo agli affetti, passando per la dignità.
“Per rendere possibile qualcosa in qualsiasi tempo bisogna esser pronti a credere, aver pazienza e pagare con il proprio cuore. Mai rinunciare, finché non si giunga alla meta. Perché? Perché questo è il dono concesso all’essere umano: la sfida.” Dichiara Naderi nella presentazione del suo nuovo lavoro, e questa sfida è l’ennesimo dono, carico di vita, che riesce a vincere. La sfida di una produzione che travalichi i confini, le nazioni, i continenti, la sfida di tenere lo spettatore incollato, per un’ora intera, sulla stessa, ossessiva, ripetizione, l’ennesima esperienza fisica nel buio della sala, l’ennesimo atto d’amore di un cinema furioso, scatenato, privo delle catene che, solitamente, non gli permettono mai di librare così libero.
Naderi, cittadino libero di questo mondo imprigionato, continua a rappresentare un punto di riferimento, una certezza, un miraggio.

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