Creed III: Michael B. Jordan colpisce ancora più duro nel primo film della saga senza Rocky. La recensione

Arriva nelle sale il nuovo capitolo della saga, diretto e interpretato da Michael B. Jordan, al suo esordio alla regia, e nel quale senza più il mentore Rocky Balboa di Sylvester Stallone Adonis si ritrova a fronteggiare un amico d'infanzia ed ex galeotto che riemerge dal suo passato

Creed III
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Dopo aver dominato il mondo della boxe, Adonis Creed (Michael B. Jordan) ha avuto una brillante carriera e una soddisfacente vita privata. Quando un amico d’infanzia ed ex prodigio della boxe, Damian (Jonathan Majors), si rifà vivo dopo aver scontato una lunga pena in prigione, è ansioso di dimostrare che merita di salire sul ring. L’incontro tra ex amici è più di un semplice combattimento. Per regolare i conti, Adonis deve mettere in gioco il suo futuro per combattere contro Damian, un lottatore che non ha nulla da perdere.

Terzo capitolo cinematografico dedicato al personaggio Adonis Creed, sequel di Creed II del 2018 e nono film complessivo della saga scaturita dal personaggio di Rocky Balboa, Creed III è per tutto il ciclo una doppia prima volta, essendo il primo film del franchise senza il leggendario pugile interpretato da Sylvester Stallone, che aprì tutto nel lontano 1976, e l’esordio alla regia del protagonista Michael B. Jordan, che passa dietro la macchina da presa raccogliendo il testimone da Ryan Coogler e Steve Caple Jr. e marcando, di fatto, la propria appropriazione definitiva e a tutto campo dell’intera property. 

Creed III è, a ben vedere, un film tutto suo, uno one man show pensato e ritagliato sulla sua figura, e dunque anche sul carisma coriaceo, minaccioso ma anche monodimensionale e tutto d’un pezzo di Adonis. Non c’è quindi da aspettarsi pressoché nulla della malinconia e del rimpianto che la presenza di Stallone portava con sé negli ultimi film, né tantomeno delle zone d’ombra livide e nostalgiche che pure il secondo film aveva tratteggiato con robustissima dolcezza. Qui ci ritroviamo, frontalmente e a guantoni sguainati, nel regno di Adonis, nella sua vita, nell’asserragliarsi delle sue ossessioni private e personali, che il pugile porta avanti con un manicheismo ottuso e tagliato con l’accetta, senza andare mai troppo per il sottile nemmeno lontano dall’anello. 

Il film, da par suo, fa lo stesso: non ha lo smalto registico smagliante del primo Creed di Ryan Coogler né i chiaroscuri shakespeariani e i vertiginosi ritmi di montaggio cui approdava, tra le corde e il quadrato, il secondo. Si propone più che altro come un film tutto d’un pezzo, grezzo quando non addirittura rozzo (si vedano alcune soluzioni e sottolineature di montaggio, per esempio, più “tamarre” che mai), che si limita a replicare tutti gli archi narrativi dei precedenti capitoli della saga, per offrire ai fan una sorta di sintetico breviario ridotto di tutte quelle emozioni: anche il primo Creed, dopotutto, era un rifacimento sotto nemmeno troppe mentite spoglie del primo Rocky, e in Creed III si passa a fare lo stesso su più larga scala. In tal senso, è il puro film perfetto per i fan, e l’attore divenuto regista sembra essersi preoccupato innanzitutto di intavolare una chiara e limpida storia di boxe classica, che risale alla tensioni ancestrali e primordiali del ciclo narrativo, senza la pretesa di ispessirle e irrobustirle ulteriormente in una sceneggiatura che è pura scolastica e manuale. 

Jordan recita come sempre innanzitutto col corpo, con un’adesione empatica e viscerale al personaggio di Adonis (tanto che ci sono tante scene del film dedicate alla lingua dei segni e al linguaggio non verbale): ha sempre una sola espressione, ma sembra sempre occupare lo spazio nel modo giusto, proprio come tanti pugili, abituati a vivere per l’ebbrezza di perimetrare tanto il ring quanto attese, tentennamenti, punti di forza e debolezze di chi hanno davanti; setacciando l’aria davanti a sé come fiutando i resti della polvere da sparo, per elaborare chi ha sferrato il colpo magari poco meno che “mortale” un attimo prima e chi sarà il prossimo, cazzotto dopo cazzotto, ad avere la meglio.

La vita di Adonis all’inizio del film si è sicuramente impigrita e seduta, dopo il ritiro dall’attività agonistica, visto che il suo quotidiano si è ripiegato su agi negli interni dorati di una casa bellissima, trascorsi familiari molto sereni accanto alla moglie Bianca (Tessa Thompson) e alla figlia e attività da procuratore e proprietario di palestre. Il senso di disagio rancoroso, saettante e sempre sul punto di esplodere con cui Adonis vive e respira è rimasto tuttavia sempre lo stesso, anzi se possibile si è perfino accresciuto, covando sotto pelle e suggerendoci l’idea di un ragazzo diventato uomo che non ha mai smesso di voler picchiare ancora più duro, oltre a fare di quell’anello quadrato la metafora del suo mondo.

 Foto: Metro-Goldwyn-Mayer, Balboa Productions, New Line Cinema, Chartoff-Winkler Productions, Proximity Media

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