Venezia 68, L’Italia senza più immigrati va a scatafascio

La recensione di Cose dell'altro mondo di Francesco Patierno. Con Abatantuono nei panni di un imprenditore razzista che sogna un paese senza più stranieri.

Cosa succederebbe al nostro Paese se tutti gli immigrati sparissero di colpo? Francesco Patierno (Il mattino ha l’oro in bocca), sualla scorta di un precedente film di Alfonso Arau (A Day without a Mexican) cerca di immaginarlo in Cose dell’altro mondo, proiettato a Venezia nella sezione Controcampo. Nel film Diego Abatantuono è l’imprenditore di una cittadina veneta che vanta tra i suoi operai un buon numero di stranieri con regolare permesso di soggiorno. Nonostante ciò, l’uomo d’affari non rinuncia al suo pistolotto razzista quotidiano contro i “diversi” che va in onda sulla tv locale, parlando un semidialetto molto divertente e con battute che susciterebbero l’invidia di un Calderoli. Fatto sta che l’ipotesi tanto vagheggiata che tutti salgano sui barconi o prendano il cammello e tornino a casa si concretizza per una sorta di fenomeno sovrannaturale. Come se qualcuno lassù avesse ascoltato le invocazioni del signorotto locale.

Il tema dell’immigrazione viene qui affrontato con umorismo e senso del paradosso, mostrando non solo le conseguenze socioeconomiche in un Paese in cui tutti i lavori umili sono svolti dagli stranieri, ma anche le ripercussioni affettive che una sparizione così repentina potrebbe suscitare.

L’obiettivo evidente del film è quello di restituire una dimensione emotiva a un problema che solitamente viene trattato solo in ambito socio-politico. I tre protagonisti del film: l’imprenditore Abatantuono, sua figlia (la maestra idealista Valentina Lodovini) e il commissario Valerio Mastandrea si ritrovano improvvisamente faccia a faccia con i problemi e e le relazioni che si erano buttati alle spalle. La sparizione delle badanti, dei netturbini, dei filippini, degli operai a cottimo e così via diventa così il detonatore di una deflagrazione sentimentale: senza quei punti di riferimento, ogni personaggio è, infatti, costretto ad affrontare la propria solitudine, le proprie ipocrisie. Una “fiaba” coraggiosa, con un punto di vista ben preciso e manifesto, che ha l’ambizione (e il desiderio) di abbattere i pregiudizi a colpi di risate.

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