Meglio esserci o scomparire? Questo è l’interrogativo da cui muove Chi m’ha visto, film dell’esordiente Alessandro Pondi con protagonisti Pierfrancesco Favino e Beppe Fiorello, una coppia inedita prestata alla risata di colore e di costume, che prova a replicare in piccolo le dinamiche picaresche di tanta commedia all’italiana leggera e scanzonata.
Una tradizione florida, che però non vale la pena né è il caso di scomodare, perché si rischierebbe per l’ennesima volta di invocare una stagione del cinema italiano (quella dei Monicelli, dei Risi, dei Comencini) come uno slogan ormai completamente privato di senso, un contenitore vuoto che non significa più nulla.
Perché è cambiata l’Italia, gli italiani, il tessuto sociale del paese, ma soprattutto la percezione dell’individuo, dell’homo italicus, che Chi m’ha visto trasforma quasi in una grezza e ruspante deformazione, un po’ penosa e un po’ tenera, attraverso il personaggio di Peppino Quaglia (Favino), amico fraterno dello spiantato chitarrista Martino Piccione (Fiorello), che decide di aiutare l’artista a sparire dalla circolazione così da permettergli di attirare i riflettori su di lui e sulla sua musica.
La vicenda di Martino, interpretato da un Beppe Fiorello che sembra fare i conti con se stesso e la propria carriera spesso vissuta all’ombra del più vulcanico fratello Rosario, va allora presa per quello che è, nel suo piccolo, col suo corredo di modeste ambizioni che però vanno agevolmente a segno, grazie a una dose notevole di frizzante disincanto: una parabola esile ma mirata sui paradossi del talento 2.0, dove conta fino a un certo punto quanto sei capace ma è fondamentale quanta visibilità riesci ad attirare e catturare.
In sostanza: quanto sei bravo esporti e a mostrarti sulla pubblica piazza, spesso digitale e virtuale, a prescindere da quello che effettivamente si sa fare e da chi realmente si è. Una morale che il film certifica con la giusta distanza, con rassegnata pacatezza ma anche con solare sconforto: il sentimento giusto, di questi tempi, per sopravvivere alle storture più diffuse e andare avanti, trovando comunque le motivazioni per ritagliarsi un angolo pacifico di mondo, nonostante tutto e tutti.
Martino è un chitarrista tecnicamente bravissimo ma condannato al dietro le quinte, al suonare al fianco di Laura Pausini, Jovanotti ed Elisa senza nemmeno essere illuminato. Un cowboy rock in una terra di nessuno, animato da un fuoco sacro per una una musica (la sua, che non vende) e preso in giro al paesello natio in Puglia, microcosmo pressapochista in cui invece guarda caso Peppino, un altro cowboy ma ben più vanesio e a suo agio con i propri limiti, si trova benissimo.
Tra ironie dialettali assortite (ottima la metamorfosi salentina di Favino, meno quella di Fiorello, più meccanico nell’uso della lingua) e il tentativo di affrescare un bozzetto che abbracci i colori caldi del Sud del mondo a 360° (c’è anche un prete ispanico, per dire), Chi m’ha visto si propone come uno scaltro ibrido tra la gag alla Zalone, dal punto di vista fisico ma non linguistico, il gioco di opposti alla Ficarra e Picone e una spruzzata del romanticismo del Pieraccioni più in palla.
Tre modelli di questo tipo sono forse troppi, ma la sintesi proposta, pur con qualche ovvietà rivedibile (la prostituta redenta, immancabile) ha il passo svelto e appetibile della commedia migliore, quella che non si vergogna di essere tale, di lavorare con umiltà sulla scrittura, di coltivare ambizioni tutt’altro che smisurate.
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