Cannes 2016: «Un altro mondo è possibile e necessario». Da Loach a Dolan, le dichiarazioni dei premiati

Tra preoccupazioni sociali, passione cinefila e amore per le proprie origini, gli autori si sono focalizzati sui temi a loro più cari

Un altro mondo è possibile e necessario”, dice con la sua vocina esile ma decisa Ken Loach, il pugno chiuso, la camicia bianca con i bottoncini button down non adatta per il papillon, capelli scompigliati. Ha appena vinto la sua seconda Palma d’oro (qui tutti i premiati) per I, Daniel Blake (qui la recensione). E non perde tempo con i trionfalismi. “Bisogna stare attenti”, dice, “perché la politica neoliberista che domina il mondo sta portando milioni di persone alla miseria. Il cinema deve lottare contro tutto questo, far valere la ragione della gente contro i potenti”. Conclude ringraziando tutti i suoi collaboratori, e staccando lo slogan “un altro mondo è possibile e necessario”. La volta precedente in cui vinse la Palma d’oro, lo incontrammo un paio d’ore dopo in un piccolissimo bar fuori da ogni clamore con il suo fido sceneggiatore Paul Laverty a chiacchierare come se niente fosse. Questa volta non siamo stati così fortunati ad incontrarlo, ma ci piace immaginare la sua calma nella tempesta dei festeggiamenti. Da cinquant’anni, quest’uomo mite fa cinema sulle vite dei dimenticati, sulla dignità degli sconfitti, sulla bellezza straordinaria delle facce e delle vite qualunque. Adesso è nel ristrettissimo numero di coloro che hanno vinto per due volte il Festival di cinema più importante del mondo.

Dal più anziano regista in concorso al più giovane. Il gran premio della giuria va a Xavier Dolan. Ha 27 anni ed è già un veterano dei Festival. A Cannes era già arrivato quando di anni ne aveva 19, e due anni fa aveva sfiorato il colpaccio con Mommy che lo aveva consacrato e che gli aveva fatto vincere il Premio della giuria. Stavolta il premio è ancora più importante – Juste la fin du monde (qui la recensione) in Italia uscirà a gennaio – anche se il film è meno straordinario. “Nella mia vita so solo una cosa: continuerò sempre a fare film. Non so se saranno amati, ma preferirò sempre la follia della passione alla saggezza dell’indifferenza”, dice citando Anatole France. E dedica il suo film a Francois Barbot, costumista canadese morto lo scorso gennaio.

Christian Mungiu vince insieme a Olivier Assayas (qui la recensione di Personal Shopper) il Premio della regia e lancia un appello in favore del cinema d’autore: “Non facciamolo morire. Il cinema d’autore esiste anche grazie ai Festival. Tutti noi abbiamo la responsabilità di farlo vivere”. Dall’altra parte della battaglia ci sono, per lui, i franchising cinematografici, i supereroi, il cinema d’evasione pura.

Jean-Pierre Lèaud riceve la Palma d’oro d’onore a 72 anni: ne aveva appena 15 quando Francois Truffaut lo scelse per I 400 colpi e ne fece il suo alter ego in una serie straordinaria di film. “Provo oggi la stessa gioia di cinquantotto anni fa quado Francois mi mise tra le mani il copione di quel primo film che ha cambiato la mia vita”.

Infine, dedica il Premio al suo popolo, alla gente dell’Iran, Ashgar Farhadi, premiato per la migliore sceneggiatura per Il cliente (la recensione): “Dedico il premio al mio popolo. Tutto quello che mi ha dato è a lui che vorrei renderlo oggi”.

Mungiu, Dolan, Farhadi, Loach: Cannes premia i registi che raccontano la realtà, le loro società, senza abdicare alla raffinatezza del racconto e alla nitidezza dello sguardo cinematografico.

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