Fassbender killer dei due mondi: la recensione di Assassin’s Creed

Visivamente spettacolare e ricco d'azione, fra passato e presente: il blockbuster tratto dal celebre videogioco Ubisoft convince

assassin's creed

Il rischio che la versione cinematografica di Assassin’s Creed potesse rivelarsi una mera operazione commerciale, volta soprattutto a sfruttare e ampliare un brand videoludico di fama mondiale, era alto. Ma Hollywood, per fortuna, riesce ancora a sorprenderti e così il film di Justin Kurzel si rivela tutto fuorché una delusione.

Anzitutto, è un’opera con una propria identità, che riesce a respirare in autonomia preoccupandosi di pescare dal contesto di riferimento le dinamiche più riconoscibili, sia per i giocatori fedeli sia per chi di Assassin’s Creed ha solo sentito parlare. Non parliamo, quindi, di una traduzione di codici linguistici precisa come quella alla base di Hardcore! (per restare nell’ambito cinegame), ma di un film che vuole camminare sulle sue gambe, trainato dalla versatilità di Michael Fassbender, ormai abile nel mettere il suo talento al servizio del cinema d’autore e di universi pop come questo.

L’attore, nella sua performance più fisica e muscolare, è il condannato a morte Callum Lynch, che combatte tra passato e presente lo scontro secolare fra i Templari e la congregazione degli Assassini: i primi vogliono dominare il mondo controllando il pensiero delle masse, i secondi agiscono e uccidono in nome del libero arbitrio. Lynch non lo sa, ma è l’ultimo discendente diretto di uno degli assassini, Aguilar, l’unico a sapere dove è custodito l’oggetto che potrebbe decidere il destino del mondo. I Templari di oggi (guidati da Jeremy Irons e Marion Cotillard) mirano a ritrovarlo e così, attraverso una tecnologia chiamata Animus, sincronizzano il DNA di Lynch con quello del suo antenato, catapultando l’uomo nell’Andalusia del 1492, quando si combatteva la guerra.

È un processo di regressione, di manipolazione cognitiva e di trasferimento in un’altra realtà che non può non ricordare il seminale Matrix, ma resta comunque un elemento narrativo che esula dalla semplice citazione per conservare una sua funzionalità all’interno della storia, così come le tante evoluzioni in stile parkour, i corpo a corpo serrati e coreografici e il vertiginoso “salto della fede” di stampo videoludico che tengono altissimo il livello delle scene d’azione.

Il meglio risiede dunque nella fusione di mondi e tempi e la regia di Kurzel, fluida e mai pesante, dona continuità, seppur con toni epici differenti, allo spettacolo visivo già regalato in Macbeth (dove i protagonisti erano ancora Fassbender e la Cotillard): non c’è combattimento o inseguimento che non sia di grande impatto e la fotografia gioca con l’alternanza fra colori caldi, legati al passato, al cuore del conflitto, e freddi, che rispecchiano l’ambiente asettico dell’Abstergo, il laboratorio hi-tech dei Templari.

Poco importa se le teorie complottiste e di dominazione alla base del pensiero dei villain risultano piuttosto fumose (ma d’altra parte, anche il plot del videogioco non era il suo punto forte): Assassin’s Creed ha le potenzialità per accontentare il pubblico dei gamers e non. Basta goderselo abbandonandosi allo spettacolo.

 

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