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La ballata di Buster Scruggs

L'omaggio dei Coen al genere Western è un'antologia in sei episodi continuamente spiazzante e perfettamente riuscita, con grandi attori come Liam Neeson e James Franco a impreziosire il tutto

La ballata di Buster Scruggs

L'omaggio dei Coen al genere Western è un'antologia in sei episodi continuamente spiazzante e perfettamente riuscita, con grandi attori come Liam Neeson e James Franco a impreziosire il tutto

PANORAMICA
Regia (4.5)
Interpretazioni (4)
Sceneggiatura (4)
Fotografia (4)
Montaggio (4)
Colonna sonora (4.5)

La padronanza dei Coen su narrazione e messa in scena, qualsiasi genere vadano a nobilitare, è diventata – non da oggi – una forma di saggio, una lezione istantanea.

La ballata di Buster Scruggs è un esercizio di stile western, programmatico e perfino irritante, eppure centra sei volte su sei – tanti quanti gli episodi in cui è diviso – il tono che punta, inchiodandoti ai suoi continui contrasti e diventando nella somma un oggetto cinefilo sorprendente e inclassificabile. La varietà è ampia, ogni volta che ti sintonizzi su una frequenza ne scopri una diversa: farsa musical, commedia nera, dramma sociale, avventura, romance e… boh. L’ultimo segmento è una specie di divertissement teatrale e metatestuale che accompagna il film e i personaggi – e forse tutto un immaginario – verso una fine ambigua e inquietante, in un atmosfera timburtoniana alla Sleepy Hollow.

Le trame, di loro, sono poco più che spunti: un pistolero/cantastorie (Tim Blake Nelson) semina il panico in un saloon; un rapinatore di banche (James Franco) trova sulla sua strada un impiegato ardimentoso a cui manca qualche rotella; un piccolo impresario (Liam Neeson) porta in giro col suo carro un tizio senza gambe e braccia ma di grande talento declamatorio; un cercatore d’oro (Tom Waits) scava per giorni la riva di un fiume in cerca di un filone; una carovana che attraversa il deserto è galeotta nel far incontrare una donna che ha perduto la famiglia (Zoe Kazan) e un cowboy gentile; cinque passeggeri di una diligenza in viaggio verso non si sa dove, si scambiano indizi sui reciproci mestieri.

Il titolo del film fa riferimento al primo segmento, ma funziona anche come indicatore generale per queste sei melodie mortifere, cantate da personaggi archetipici e destinati ognuno alla propria Samarcanda.

Nessun episodio, fra l’altro, ha una chiusa pulita, cioè una morale a far da punto, nella misura in cui il senso per l’assurdo dei due fratelli del Minnesota è l’unico coronamento possibile. Questo crea uno sbilanciamento doppio, praticamente una vertigine: la misura incalcolabile di ogni racconto, quella specie di voragine su cui si conclude, lascia subito spazio a qualcosa di completamente diverso e altrettanto difficilmente maneggiabile: non si sa che pesci pigliare.

In tutto questo, intanto, trionfa la bellezza: l’episodio del cercatore d’oro e quello della carovana, almeno, con quello scontro impari con gli indiani in aperta prateria, sono gesti di raffinata naturalezza (cinefila: le citazioni si sprecano).

Però, ecco, che una cosa del genere si veda, o possa vedere, solo in streaming televisivo, è un peccato mortale: almeno per certi western qualche dio dovrebbe vietarlo.

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