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Leonora addio: le ceneri di Pirandello e l’omaggio al fratello Vittorio nel film di Paolo Taviani. La recensione

Da oggi al cinema il nuovo film di Paolo Taviani, tornato per la quarta volta al Festival di Berlino (unico italiano in Concorso, si è aggiudicato il premio FIPRESCI della stampa internazionale) e alla prima prova da regista senza il fratello Vittorio, scomparso nel 2018

Leonora addio: le ceneri di Pirandello e l’omaggio al fratello Vittorio nel film di Paolo Taviani. La recensione

Da oggi al cinema il nuovo film di Paolo Taviani, tornato per la quarta volta al Festival di Berlino (unico italiano in Concorso, si è aggiudicato il premio FIPRESCI della stampa internazionale) e alla prima prova da regista senza il fratello Vittorio, scomparso nel 2018

Leonora addio
PANORAMICA
Regia (3.5)
Interpretazioni (2.5)
Sceneggiatura (3)
Fotografia (4)
Montaggio (4)
Colonna sonora (2.5)

Leonora addio racconta la rocambolesca avventura delle ceneri di Luigi Pirandello e il movimentato viaggio dell’urna da Roma ad Agrigento, fino alla tribolata sepoltura avvenuta dopo quindici anni dalla morte. A chiudere il film, l’ultimo racconto di Pirandello scritto venti giorni prima di morire, Il chiodo, dove il giovane Bastianeddu, strappato in Sicilia dalle braccia della madre e costretto a seguire il padre al di là dell’oceano, non riesce a sanare la ferita che lo spinge a un gesto insensato.

Il nuovo film di Paolo Taviani, tornato per la quarta volta al Festival di Berlino (unico italiano in Concorso, si è aggiudicato ieri il premio FIPRESCI della stampa internazionale), è il primo realizzato dal regista senza il fratello Vittorio, scomparso nel 2018 e insieme al quale, sempre alla Berlinale, aveva vinto l’Orso d’oro nel 2012 con Cesare deve morire. «A mio fratello Vittorio», recita l’obbligata ma quantomai sentita dedica iniziale di Leonora addio, lungometraggio che fin dalle prime battute si configura come una meditazione sfaccettata e articolata sul tema della morte: un lavoro permeato da un vitalissimo, funereo senso di disfacimento, nel quale il dolore per il distacco dagli affetti e dalle cose del mondo, e la mancata requie che ne deriva, produce una libertà formale puntualmente sorprendente, che trova una propria, personale organicità lavorando sui brandelli e le frattaglie, della Storia e delle immagini del ‘900. 

L’anziano maestro del cinema italiano insieme al fratello ha più volte adattato romanzi importanti, in primis dell’amatissimo Pirandello: dalle sue Novelle per un anno i Taviani trassero due film, Kaos nel 1984 e Tu ridi nel 1998, e Leonora addio riprende nuovamente il titolo da uno dei racconti della fluviale raccolta dello scrittore siciliano, pur discostandosene in modo evidente nella sostanza narrativamente e dando l’idea di averlo scelto quasi esclusivamente come suggestione e indicatore post mortem di un sentimento.

La devozione pirandelliana è qui eletta a punto di partenza primario e motore di tutta l’operazione, che si apre con filmati d’archivio della cerimonia nella quale fu insignito del premio Nobel per la letteratura, e il suo fantasma pesa tanto quanto quello del defunto fratello Vittorio in una convergenza, talvolta commossa e altre volte più graffiante, tra arte e vita (all’inizio ci sono anche i figli di Pirandello al suo capezzale, invecchiati di colpo al cospetto del padre ormai morente). 

È chiaramente un film sulle ceneri del passato, Leonora addio, che affida i pensieri di Pirandello alla voce narrante di Roberto Herlitzka e ne racconta la sepoltura al cimitero Verano di Roma durante il fascismo per poi spostare l’asse della vicenda direttamente su un treno che trasporta i resti del letterato, affidati a un rappresentante del Comune di Agrigento (Fabrizio Ferracane), e nei cui vagoni s’intravede un’umanità fatalista, meschina, superstiziosa e un po’ beffarda, attraversata da uno sguardo affilato e in tutto e per tutto pirandelliano. Il bianco e nero del direttore della fotografia Paolo Carnera in questo frangente è più che mai raffinatissimo e impeccabile, ma a colpire è soprattutto il peculiare e sperimentale incastro di materiali, che riflette su un’Italia segnata da scorie di conflitti e transizioni sociali e politiche mai pienamente digerite.

A incorniciare tutto c’è un teatro, come fossimo dentro la mente di Pirandello, ma è il cinema il vero, costante puntello: sono evocati i fantasmi di celebri film del neorealismo, da Paisà di Roberto Rossellini a Il bandito di Alberto Lattuada passando per Estate violenta di Valerio Zurlini e L’avventura di Michelangelo Antonioni, collanti di un film tutto giocato sul congedo dalla vita e dalla creazione artistica come fossero, a conti fatti, la stessa cosa: un abbandono vissuto in punta di piedi, apparentemente senza far rumore ma che lascia, in realtà, un vuoto incolmabile («Sia lasciata passare in silenzio la mia morte», scrisse Pirandello nel suo testamento, mentre il regime avrebbe voluto per lui un funerale fascista in piena regola). 

Questa voragine insanabile Leonora addio la racconta con la forza intellettuale, l’ardore e la limpidezza che ci può aspettare da un venerato maestro, che con la perdita si è voluto confrontare da pari a pari, spingendosi perfino ad adattare le ultimissime pagine scritte da Pirandello prima di morire e cercando in esse una quiete impossibile nella ferocia. O, più probabilmente, un ultimo, testamentario alito di vita in un epilogo che ritrova il colore proprio in punto di morte, con un rigore e uno sprezzo del pericolo degni del migliore e più spericolato dei registi esordienti (a patto sempre di riuscire a trovarne, oggigiorno, di esordi permeai da questo spirito impudente e sfacciato).

Foto: Stemal Entertainment, Luce Cinecittà, Rai Cinema, Cinemaundici

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