Best Movie intervista Zack Snyder: «Grazie a Nolan e Miller per Superman»

Il regista di L’Uomo d’Acciaio racconta a Best Movie i cambiamenti attuati sul costume del supereroe, i debiti verso Nolan e Frank Miller e tante altre belle cose…

Gli porgiamo il numero di Best Movie con L’uomo d’Acciaio in copertina. Gli si allarga il sorriso, poi prova a leggere il testo in italiano, ma è una guerra improba e alla fine si arrende.

Durante l’intervista ha un foglio e una Bic in mano. Sotto i nostri occhi vediamo prendere forma il busto di un uomo: ha i pettorali giganti e le spalle larghe, il viso non assomiglia a quello di Henry Cavill, ma Zack Snyder – l’acclamato regista di 300 e Watchmen – sta disegnando una variazione di Superman, l’eroe Usa per eccellenza che da tre anni sta riempiendo il suo immaginario notte e giorno. Domani L’Uomo d’Acciaio (leggi la nostra recensione) sbarcherà finalmente in Italia e la curiosità che ha fatto morire i fan del superhero fino ad ora sarà placata. Abbiamo incontrato Snyder a Taormina nel Man of Steel Day del Festival cittadino, in cui l’intero cast si è concesso alla stampa, successivamente al pubblico nel Teatro Greco della cittadina siciliana gremito di gente. Se non fosse per i capelli brizzolati e qualche ruga, sembrerebbe un ragazzino: capello corto, fisico asciutto e nervoso, contenuto da una T-shirt bianca e un paio di jeans chiari slavati, tattoo sugli avambracci simili a quelli dei nostri calciatori… Partiamo con l’intervista proprio da quel bozzetto.

Best Movie: È vero che tutti gli storyboard sono firmati da te?
Zack Snyder: «Non sono capace di fare altrimenti. Ho sempre amato disegnare e leggere fumetti. Se non parto dallo storyboard non so come andare avanti. Non solo: per questo film ho scoperto che si sono rivelati utili allo scrittore del copione, alla produzione, agli attori.. Alla fine li ho stampati per tutti».

B.M.: Sei intervenuto personalmente sui cambiamenti del costume?
Z.S.: «Sì, ho curato il disegno e ho voluto che avesse la cintura. Ho anche cercato di conservare le mutande, ma un alieno con le mutande non è credibile…».

B.M.: Qual è il tuo fumetto preferito?
Z.S.: «Amo tantissimo un fumetto di Frank Miller in cui Superman interviene. Mi ha ispirato molto ed è il mio preferito».

B.M.: Stiamo forse parlando di Justice League?
Z.S.: «Prima bisogna capire se si andrà avanti con Superman con un secondo episodio e poi si potrà ragionare su una Lega. E se devo dire la verità sarei già in difficoltà con il secondo episodio di Superman, perché abbiamo spremuto tutte le nostre idee per questo episodio…».

B.M.: C’è un grande sforzo dietro. Si vede che ogni dettaglio è stato pensato e curato per creare un Superman straordinario (parlo delle scene di volo), eppure realistico. Sembra una contraddizione in termini, ma era l’effetto che cercavi, vero?
Z.S.: «Sì, volevo che fosse realistico ancor di più nei momenti in cui non potrebbe esserlo di meno: quando spara i raggi laser dagli occhi, quando vola oltre la sfera del suono, quando solleva un peso impossibile…».

B.M.: Le parole dei padri in questo film assumono un’importanza capitale e tu hai scelto due super-attori per questi due super-genitori. Com’è stato gestirli sul set?
Z.S.: «Sono stati straordinari nella loro assoluta semplicità. Loro arrivano sul set, pieni di entusiasmo e idee e poi tutto si materializza all’istante: loro, il copione, il lavoro sul set e in pochi ciak si materializza quello che avevi immaginato e scritto».

B.M.: A proposito di set, quanto è stato importante il ruolo di Nolan nel processo produttivo?
Z.S.: «È venuto sul set una sola volta. Per il resto del tempo, non ha fatto che incoraggiarmi e chiedermi come poter essermi utile. Mi piace il fatto che, una volta scelto il regista, lui lasci all’autore la totale libertà. L’ho davvero apprezzato e Goyer ha fatto un ottimo lavoro sulla sceneggiatura. Non avrei potuto desiderare di meglio alle spalle».

B.M.: Già, lo stile Goyer ormai è un marchio di fabbrica… Si è parlato molto delle metafore cristologiche. Non sono forse esagerate?
Z.S.: «Sono sempre esistite. Del resto lui ha trentatré anni, è alieno e ha un ruolo salvifico: è la risposta mitologica all’impossibile. Non ci siamo inventati nulla. Eppure nonostante ciò, è estremamente umano».

B.M.: Il lavoro sull’infanzia e sul rapporto con la famiglia è molto bello, molto sentito. Ci puoi dire di più?
Z.S.: «Kal-El vuole essere disperatamente umano e desidera molto l’amore dei genitori, per cui pur essendo un alieno, alla fine è più umano degli umani, perché è come se incarnasse l’ideale dell’umanità».

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