L’uomo d’acciaio: la recensione di Giorgio Viaro

Conviene partire da una domanda: che film vi eravate immaginati vedendo i trailer, e sapendo che a monte del progetto c’era l’occhio di Nolan per i supereroi in “noir”? Noi ci eravamo immaginati – più che una sequenza di scene d’azione senza respiro – la formazione di un superouomo, la presa di coscienza di un potere e di una responsabilità, il venire a patti con una natura quasi divina, che esula completamente dal contesto terrestre. Questo doveva essere il cuore del film; e questo – in definitiva – è il cuore del film: una manciata di sequenze cariche di malinconia.
Kal El / Clark Kent (Henry Cavill) è un bambino di Krypton, e ha due padri: uno naturale (Jor El / Russell Crowe) e uno adottivo (Jonathan Kent / Kevin Costner). Entrambi vedono in lui la speranza di un futuro migliore, ed entrambi lo educano al rispetto della vita. La lotta interiore di Clark è una lotta per venire a patti con se stesso e con il mondo: deve imparare a contenere la sua rabbia, e a muoversi in un ambiente che il suo corpo inizialmente rifiuta. In questi scorci l’atmosfera è precisamente quella dei primi teaser trailer, e i monologhi dei genitori quelli che già conosciamo (“Devi decidere che tipo di uomo vuoi diventare da adulto, perché chiunque sarà quell’uomo, buono o cattivo, è destinato a cambiare il mondo“).
A questa impostazione bene si legano regia e montaggio, nolaniani al 100%, con stacchi bruschi e a volte poco logici (chiamiamolo montaggio emotivo, anche se qualcuno inorridirà), e con la macchina da presa che si muove in mezzo ai protagonisti, irrequieta: siamo lontanissimi dall’estetica patinata snyderiana, e in pieno pseudo-realismo stile Cavaliere Oscuro. È un mondo crepuscolare, l’alba di un eroe: ogni scelta di luce accentua l’idea che qualcosa sta nascendo, si sta formando a fatica.

Il citato pseudo-realismo è centrale in tutta la genesi del progetto, e favorisce in queste fasi l’empatia esattamente come accadeva per Il Cavaliere Oscuro. Non è un caso che si parli di Uomo d’acciaio e non di Superman; non è un caso che la “S” sul costume non sia più una lettera, ma un simbolo alieno che significa “speranza” (in inglese “hope”, quindi la coincidenza sull’iniziale è una casualità italiana); e lo stesso costume blu e rosso con il mantello dipende dalle abitudini d’abbigliamento dei kryptoniani, ha colori più spenti, è meno kitsch. Clark Kent / Kal El è insomma per tutti (anche per noi) semplicemente “l’alieno” che si nasconde tra i terrestri.
Questa attenzione alle ragioni dei personaggi non si limita però a Superman: Zod è un cattivo servito da buoni dialoghi, ed è impersonato da un attore maestoso come Michael Shannon – la cui presenza (Shannon è altissimo, largo di spalle, ma allo stesso tempo stranamente allampanato, quasi goffo, e ha un’espressione perennemente disturbata) gonfia di minaccia ogni inquadratura.
Tutto bene quindi?
Non proprio, non tutto per lo meno. A questo punto è necessario precisare che il film ha due anime (e di conseguenza due registri), divise in modo netto, che corrono parallele attraverso un intricato gioco di flashback: la prima è la citata genesi del personaggio, una linea rossa che attraversa la sua infanzia e che si spinge fino al presente; la seconda – di gran lunga preponderante – è il conflitto con Zod, che invade la Terra per trasformarla in Krypton, una mutazione che ne ucciderebbe tutti gli abitanti. Ma può un film sulla nascita di un eroe, un film che si è proposto nella prima fase della promozione con toni addirittura intimisti, puntare tutto su un lungo conflitto globale con forze extraterrestri?

L’uomo d’acciaio più che a Batman Begins assomiglia al primo Thor, privato però dell’ironia Marvel (sostituita dalla predisposizione al tragico di Nolan): è pura fantascienza, in parte ambientata nello spazio, in parte sulla Terra. È la storia di un’invasione aliena, di creature indistruttibili che si prendono a pugni rasando al suolo strade, palazzi, interi quartieri, poi città. Bombardamenti, combattimenti e distruzione si mangiano la gran parte del film.
Manca un po’ di equilibrio. La formazione dell’eroe è spezzettata, copre una mezz’ora di girato, ma ci sono oltre due ore di azione senza respiro che le passano sopra. Appena arrivati sulla Terra, dopo il prologo su Krypton, Superman sta già compiendo meraviglie (anche se in incognito): sostiene a mani nude una base petrolifera che sta esplodendo. Non sono passati nemmeno venti minuti dall’inizio. Poco dopo siamo sull’astronave madre, incastrata tra i ghiacci dell’Alaska, al primo incontro tra Kal El e suo padre. Lois Lane ha già scoperto tutto. Gli alieni stanno già arrivando. Anzi, eccoli, sono arrivati. Ma perché? Cos’è questa fretta? E il Daily Planet? E il supereroe giornalista, impacciato, con gli occhiali da nerd? E la città, che piano piano scopre i suoi poteri? Se ne riparlerà più avanti (come promette l’ultima parte del film), ma la sensazione è che abbiano proiettato il secondo tempo prima del primo. E quindi nessun siparietto di alleggerimento e pochissimo romanticismo (giusto un bacio con Lois, seminato tra le macerie). Sono cose di cui, almeno noi, abbiamo sentito la mancanza, perché vengono barattate con un monotono clangore di battaglie.

Guarda il trailer e leggi la trama del film

Mi piace
L’immagine di Superman completamente ripensata in chiave tragica e “realista” è puro Nolan, e funziona

Non mi piace
Gli scontri corpo a corpo sono interminabili, e lo script è infarcito di sciocchezze un po’ eccessive vista la pretesa di realismo (la Terraformazione?!?)

Consigliato a chi
A tutti quelli che aspettavano con ansia l’arrivo in sala di un Superman più adulto.

Voto: 3/5

© RIPRODUZIONE RISERVATA