Ci sono personaggi che, per anni, rimangono ai margini della narrazione. Figure secondarie all’apparenza, che entrano ed escono dalla scena senza clamore. Nonostante ciò, basta un cambio di prospettiva — o di serie — per scoprire che la loro presenza era giustificata da un motivo ben più profondo. È il caso di Diane, la seconda moglie di Gibbs, che nel prequel NCIS: Origins rivela un’importanza narrativa e tematica che la serie madre non aveva mai davvero esplorato.
Nel finale della prima stagione dello spin-off, Gibbs — ancora devastato dalla morte della moglie Shannon e della figlia Kelly — incontra una giovane agente immobiliare di nome Diane. È un momento di passaggio, quasi sospeso, in cui il protagonista (interpretato da Austin Stowell) sta svuotando la casa che aveva condiviso con la sua famiglia. Ed è proprio in quella cornice di lutto e silenzio che Diane riesce a farsi spazio, non con gesti clamorosi, ma con parole semplici. “Dice qualcosa sui suoi occhi, e lui accetta il complimento. Non reagisce, è colto alla sprovvista”, racconta Stowell in un’intervista a Entertainment Weekly. È un dettaglio minuscolo, ma rivelatore: per la prima volta da tempo, Gibbs si lascia toccare.
Chi ha seguito la serie madre sa già dove andrà a finire questa storia. Diane, interpretata nella timeline principale da Melinda McGraw, è apparsa in diversi episodi tra la stagione 9 e la 16, spesso incastrata in dinamiche conflittuali e ironiche con Gibbs e il suo terzo marito, Tobias Fornell. È proprio Fornell, storico amico e collega dell’agente, a sposarla dopo il divorzio da Gibbs, dando vita a uno dei triangoli affettivi più sorprendenti — e umanamente intricati — dell’intero franchise.
Eppure, fino a oggi, Diane era rimasta confinata in una dimensione funzionale: ex moglie caustica, madre apprensiva, vittima tragica. La sua morte per mano del terrorista Sergei Mishnev nella dodicesima stagione, e la successiva apparizione sotto forma di visione nell’episodio Daughters, sembravano aver chiuso definitivamente il suo arco narrativo. Ma Origins fa qualcosa di più: le restituisce complessità. Le dà uno spazio autonomo, un prima che giustifica il dopo.
Non è solo questione di approfondimento biografico. È, più radicalmente, una riscrittura della memoria emotiva della serie. Diane diventa la prima persona che riesce a oltrepassare la corazza di Gibbs dopo la perdita della sua famiglia. Non è un rimpiazzo, né una cura, ma un’imprevista apertura. E proprio perché conosciamo già l’esito della loro storia — il matrimonio fallito, l’amicizia compromessa con Fornell, la tragedia di Emily — ogni scena acquista un peso diverso. Non si tratta più di capire “cosa succederà”, ma “come siamo arrivati fin qui”.
È questo che rende il suo ritorno così significativo. In un franchise costruito sulle sfumature dell’identità, della lealtà e del dolore, Diane si rivela non più figura di passaggio, ma vero punto di snodo. Attraverso di lei, NCIS: Origins ci mostra un Gibbs fragile, ancora modellabile, e per questo più umano. Un uomo che si sta trasformando, inconsapevolmente, nel personaggio che abbiamo conosciuto e amato per vent’anni.
Diane, con la sua apparente leggerezza e la sua forza silenziosa, è la chiave di volta di questo processo. E mentre il pubblico aspetta la seconda stagione del prequel, una cosa è chiara: non era un personaggio minore. Era solo in attesa del momento giusto per mostrarsi per ciò che è davvero.
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