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Nymphomaniac Vol.2: masochismo, penitenza e rinascita. La nostra recensione

Più disturbante e complessa del volume 1, la seconda parte del film di Von Trier può essere interpretata come una provocazione o come una presa in giro

Nymphomaniac Vol.2: masochismo, penitenza e rinascita. La nostra recensione

Più disturbante e complessa del volume 1, la seconda parte del film di Von Trier può essere interpretata come una provocazione o come una presa in giro

Se Von Trier fa imbestialire tanta gente, pubblico e soprattutto critici, è perché mette assieme due stereotipi particolarmente irritanti: il secchione che alza sempre la mano, e il compagno deficiente che ti mette la marmellata nell’astuccio. Sa tutte le risposte e fa pure gli scherzi idioti.
Considerata quindi la misura perfetta del volume 1 di Nymphomaniac, era plausibile che nel volume 2 Von Trier sentisse il bisogno di rendersi irritante.

VOLUME 1 e VOLUME 2
Il Volume I di Nymphomaniac (qui potete leggere la recensione) racconta le prime esperienze sessuali della protagonista Joe, dalla pubertà ai vent’anni, quando inizia una relazione stabile con il ragazzo di cui è innamorata, Jerome (Shia LeBeouf). Nel volume 2, il passato si ricongiunge al presente, quello in cui Joe, recuperata in un vicolo ferita e tumefatta da un uomo di nome Seligman, racconta in flashback la sua storia. Le fasi finali di questo ricongiungimento sono tre. Dapprima combatte un’improvvisa frigidità con la scoperta delle pratiche masochistiche. Poi, trovando il suo corpo logorato dall’abuso e la sua famiglia distrutta, prova a cambiare vita aderendo a un gruppo di sostegno. Infine, riconosciuta l’impossibilità di mutare la propria natura, diventa un’aguzzina che riscuote crediti per conto di un usuraio (Willem Dafoe).

VON TRIER E I CRITICI
Von Trier – pur avendocela un po’ con tutti – soffre in particolare chi giudica i suoi film (cioè chi giudica lui). E sente il bisogno di esplicitare questa insofferenza sabotando le sue opere. Nel caso di Nymphomaniac Vol. II, lo fa due volte.
1 – Joe è interpretata da due attrici: Charlotte Gainsbourg da adulta, e Stacy Martin per le parti in cui è ancora una ragazzina. Stessa cosa per Jerome: da giovane ha il volto di Shia LeBeouf, poi è Michael Pas. Cautela suggerirebbe di cambiare interprete ad entrambi i personaggi nel passaggio “cieco” dal volume 1 al 2. Neanche per idea: Joe diventa la Gainsbourg di botto, dopo una mezz’ora della seconda parte; vent’anni presi in uno stacco. A quel punto Shia LeBeouf è ancora Jerome, e resta tale fin quasi all’epilogo.
2 – Per approfondire la sua conoscenza delle pratiche masochistiche, Joe abbandona il figlio piccolo a casa da solo. E il bimbo esce sul balcone di notte, durante una nevicata. È la prima scena di Antichrist. A scanso di equivoci, Von Trier ci mette pure la stessa colonna sonora, l’aria Lascia ch’io pianga tratta dal Rinaldo di Haendel. Marmellata nell’astuccio.

NYMPHOMANIAC VOLUME 2
Il volume II è molto più difficile da digerire del volume I sotto diversi aspetti e per qualsiasi genere di spettatore sinceramente disposto a metterci un piede dentro. La prima ragione è fisiologica alla scelta distributiva. Vedere e archiviare (cioè seguire, elaborare, discutere, rifiutare o accogliere) la prima parte di un film che chiede una presa di coscienza e di posizione – cinefila ancor prima che ideologica – significa aprire e chiudere una porta, raggiungere un certo grado di saturazione. Il Volume II, a meno di tre settimane di distanza, rilancia la discussione. È una proposta faticosa da accettare.

Per di più alza la posta. La violenza reiterata e brutale subita da Joe di sua volontà, nella parte centrale del film, comincia a spingere lo spettatore – anche quello mediamente progressista – fuori dalla sua zona di comfort. Le lunghe sessioni di frustate, banalmente (?) associate all’iconografia cristiana della Passione, hanno un’evidenza – questa sì – pornografica (la carne del fondoschiena e delle cosce si apre), che sembra incongrua rispetto alla censura dell’atto sessuale più ovvio (non ci sono dettagli delle penetrazioni), ma che è perfettamente congrua al corto circuito ricercato. È per giunta una parte molto lunga del film, spaccata in mezzo dal folle in-joke del bambino sul balcone.

Ma Nymphomaniac è tutto un gigantesco scherzo, una farsa progressista che funziona anche come terapia per Von Trier. Si tratta però di un’ambiguità linguistica (dramma/parodia, film/terapia, narrazione/saggio) che diventa più complicata da gestire – e quindi più facile da rifiutare in toto – nel momento in cui, come accade in questa seconda parte, le digressioni enciclopediche di Seligman si fanno più lunghe e insistenti (senza contare che le avevamo appunto già archiviate), mentre si ragiona e si scava tra tabù sessuali finalmente reali come la pedofilia (“i pedofili che reprimono i propri istinti, il 95%, meriterebbero una medaglia” dice Joe, dopo averne premiato uno con del sesso orale).
E poi, arroganza ultima, Von Trier si mette pure a sviscerare il suo film in corso d’opera, recensisce se stesso, la propria scrittura. Seligman, prima dell’epilogo, esplicita le ragioni di Joe lungo tutta la storia che gli ha raccontato, ne spiega l’evoluzione, il ruolo sociale, il carattere. Dopo aver sfoderato metafore e riferimenti artistici per quattro ore, fa pure la chiosa. Pretende cioè di essere autosufficiente, vuole occuparsi dell’opera ma anche della sua esegesi.

Tutto questo significa che bisogna avere estrema apertura – verso Von Trier e verso il cinema come linguaggio – per accettare l’operazione. Va accettato che chi l’ha creata si rifiuti di riconoscere agli spettatori e ai critici un ruolo attivo. E va accettato che il cinema possa, in un certo senso, negare se stesso, mortificarsi. Si deve cioè “accogliere” una doppia forma di rifiuto, un bel paradosso.
Ne vale la pena?
Io dico di sì.

LEGGI LA RECENSIONE DEL VOLUME 1

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