Regina, Alessandro Grande: «Un padre e una figlia, il conflitto e il complesso di Telemaco»

Il regista del film con Ginevra Francesconi e Francesco Montanari ci racconta il suo esordio, ispirato dalla lettura del saggio di Massimo Recalcati e ambientato in una Calabria gelida e aspra

Regina Alessandro Grande

Regina (Ginevra Francesconi) ha 15 anni e sogna di fare la cantante. A supportarla c’è suo padre Luigi (Francesco Montanari), che è tutta la sua famiglia dato che Regina ha perso la madre anni prima; Luigi, proprio per starle accanto, ha rinunciato alla sua carriera musicale. Il loro è un legame fortissimo, indissolubile, almeno fino a quando, un giorno, un evento imprevedibile cambierà le loro vite. 

Dopo il passaggio in Concorso al 38esimo Torino Film Festival, in cui era l’unico film italiano in Concorso, è ora disponibile sulle piattaforme e arriverà nelle sale dal prossimo 27 maggio Regina, l’opera prima di Alessandro Grande, catanzarese classe 1983, già vincitore del David di Donatello per il cortometraggio Bismillah nel 2018 (una piccola folgorazione: ve ne parlavamo qui) e con alle spalle una laurea in Storia e critica del cinema (all’Università di Tor Vergata) e una trafila fatta di molti corti ed esperienze di didattica cinematografica. Ne abbiamo parlato con il regista.

Da dove arriva il desiderio di raccontare questa storia?

Sentivo il bisogno personale di raccontare il conflitto generazionale, una tematica attuale oggi come secoli fa. Col mio sceneggiatore (Mariano Di Nardo, ndr) mentre lavoravamo alla scrittura ci siamo imbattuti in questo saggio che è Il complesso di Telemaco dello psicanalista Massimo Recalcati, un testo che affrontava il tema dal nostro stesso punto di vista: l’incapacità di prendersi delle responsabilità da parte dei padri, ma anche il perdersi per poi ritrovarsi come distacco necessario per la crescita, e l’impossibilità di essere solo amici dei propri figli. Regina, proprio come Telemaco con Ulisse, aspetta suo padre sulle rive del fiume, per riportare l’autorità in casa. 

L’ambientazione calabrese della storia, e il modo in cui la metti in scena e la catturi, cerca un gelo che non sempre viene associato a quella terra, complici anche i laghi ricorrenti e i colori freddi della fotografia di Francesco Di Pierro. In generale il paesaggio dell’Italia meridionale di rado è “evaso” da un regista, ricordo pochi casi, come il road movie Il padre d’Italia di Fabio Mollo, curiosamente un tuo corregionale. 

Ho pensato al paesaggio come al terzo protagonista della storia. Non volevo immagini da poster o da cartolina, ciò che dovrebbe fare sempre un regista è collocare un’ambientazione all’interno di un racconto. Volevo le atmosfere cupe e montane di una Calabria invernale che ben conosco: nella prima parte del film c’è un sole leggero, come il rapporto dei due protagonisti all’inizio, poi il tutto si fa non a caso via via più aspro. È una terra alla quale sono legato, il più delle volte rappresentata in maniera stereotipata e ricca di cliché, esclusivamente tra sole e mare, case abbandonate e abusi edilizi. Da parte mia non c’era solo il piacere di portarvi del cinema in senso fisico, ma soprattutto il desiderio di raccontare uno spazio coerente con la struttura drammaturgica dei personaggi. 

Il personaggio di Montanari è un padre, e per molti versi potremmo definirlo inadeguato anche se è una definizione forse semplicistica. A un certo punto della storia quasi si eclissa, lasciando che il trauma della figlia, e il suo modo di affrontarlo, guadagnino la ribalta.

Nel loro rapporto ci sono tante piccole cose che non fanno altro che allontanare Regina, una ragazza che a quindici anni si ritrova ad avere un padre che non sa educarla e non riesce a capirla e prova, per questa ragione, un forte senso di colpa. Ciò che la riporta alla tranquillità è il cambiamento della prospettiva interiore su quello che ha fatto e ciò che è successo a lei e al padre. All’inizio abbiamo un padre e una figlia insieme, il rapporto s’incrina in virtù di un evento tragico e loro due si separano, dopodiché mi concentro su Regina, ma non sono d’accordo sul fatto che il personaggio di Montanari effettivamente scompaia. Ciò che racconto non copre dopotutto un periodo lungo, mi sono concentrato e focalizzato su un arco narrativo di pochi giorni. 

Qual è l’aspetto stilistico del film che ti sta più a cuore? 

Regina è girato in un insieme di piani sequenza, ma è una cosa che, per fortuna, mi sono reso conto che in pochi notano. Non volevo fare, come si dice oggi, del “nuchismo”, inquadrare cioè tutti i personaggi di spalle per stare loro addosso, ma mi serviva concentrarmi sulla protagonista, seguirla, provare con gli attori per lungo tempo. Non sono un amante dell’estetismo a ogni costo, ma mi piace aumentare l’empatia degli spettatori coi personaggi, dare al pubblico l’illusione di abitare al loro interno. Se un’attrice arriva preparata alla scena, i piani sequenza risultano più naturali. 

Cosa ti ha convinto di Ginevra Francesconi, che nel film è estremamente convincente e che nel frattempo è diventata a tutti gli effetti uno dei volti giovanissimi più promettenti del cinema italiano? E in che direzione hai lavorato con Montanari?

Abbiamo provinato oltre 500 ragazze, ci voleva una ragazza che fosse credibile anche come cantante. Ginevra si è impegnata, ha studiato chitarra e canto, abbiamo provato insieme, io e lei, per più di un anno. Riguardo Francesco, il pubblico è abituato a vederlo come cattivo dalla personalità forte, mentre qui volevo che emergesse la normalità del personaggio e un aspetto più dolce, da ragazzo padre. 

Quando il personaggio di Luigi, che a sua volta è stato un musicista fallito, si butta a capofitto nella carriera musica della figlia quasi “per non pensare”, c’è questa chimera insistente del concerto di Brunori Sas che la ragazza potrebbe arrivare ad aprire in qualità di artista emergente. Come mai hai scelto proprio lui? 

Sicuramente è un’eccellenza del posto, della Calabria intendo, ed era perfetto. Ha voluto leggere prima la sceneggiatura e ha fatto la sua apparizione all’interno del film dandomi piena disponibilità, ma non l’ho scelto per campanilismo o per fargli fare un cameo con delle battute apposite, per me era un elemento che andava ad arricchire il racconto. 

Come hai vissuto il tuo esordio da regista, adesso che è passato un po’ di tempo dal momento delle riprese e che il film può finalmente raggiungere un pubblico più ampio? E qual è stato il momento più difficile delle riprese? 

La scena del lago, ad esempio, l’abbiamo girata con una temperatura di meno cinque gradi, non è che avessimo chissà quali mezzi essendo una produzione piccola e un’opera prima, ci siamo dovuti arrangiare. Nel mio caso il David di Donatello vinto con il corto Bismillah ha aiutato, ma per arrivare al primo film ho impiegato di fatto dieci anni. Spero di non doverne aspettare altri dieci per il secondo. 

Foto: Bianca/Rai Cinema

Prodotto da BIANCA FILM con RAI CINEMA, con il contributo del MiBACT, della Regione Calabria e Fondazione Calabria Film Commission, in associazione con Asmara Films, Regina è stato presentato in anteprima mondiale alla 38esima edizione del Torino Film Festival, è disponibile sulle principali piattaforme on- demand (Sky Primafila, Google Play, I-Tunes, Rakuten, Chili, Timvision, Amazon Video Store) e dal 27 maggio nelle sale cinematografiche italiane.

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