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Suspiria

Il remake firmato Guadagnino del classico horror di Dario Argento è un lungo affresco storico in cui l’orrore fa capolino solo di rado, preferendo atmosfere dilatate e riflessioni sulla natura del gesto artistico, all’accumulo di effetti gore. Ma quando decide di affondare, ci va giù pesante…

Suspiria

Il remake firmato Guadagnino del classico horror di Dario Argento è un lungo affresco storico in cui l’orrore fa capolino solo di rado, preferendo atmosfere dilatate e riflessioni sulla natura del gesto artistico, all’accumulo di effetti gore. Ma quando decide di affondare, ci va giù pesante…

Tilda Swinton in Suspiria
PANORAMICA
Regia (4.5)
Interpretazioni (3.5)
Sceneggiatura (2.5)
Fotografia (4)
Montaggio (3.5)
Colonna sonora (3.5)

Tra le tante cose che saltano in testa ripensando al Suspiria di Dario Argento di solito la prima è il colore, il rosso profondo di pareti e scalinate art nouveau. E la prima cosa che fa Luca Guadagnino nel suo remake è eliminare il rosso, e tutti i colori accesi. Elimina perfino il colore del sangue dalla prima sequenza dichiaratamente horror. La sua Berlino (non più Friburgo) è una metropoli spenta e invernale, turbata dal terrorismo di estrema sinistra (il sequestro dell’aereo della Lufthansa da parte della banda Baader-Meinhof) e ancora sospesa sulle memorie dell’Olocausto nazista. La scuola di danza stessa di Madame Blanc (Tilda Swinton), quella in cui viene accolta l’americana Susie Bannion (Dakota Johnson), è un edificio mesto e imponente, tutto svolto su scale di grigio e marrone, addossato al muro che separa l’Est dall’Ovest della città.

La seconda cosa che salta in testa sono invece le streghe, il modo in cui la minaccia soprannaturale si palesa negli ultimi minuti del film, dando forma alle paure della protagonista e compiutezza all’orrore. La stregoneria è cioè in una certa misura un colpo di (messa in) scena per Argento, nel senso che fino a quel momento tutte le insegnanti e le ausiliarie della scuola sono state mostrate solo nella loro versione pubblica, e la magia è soltanto un dubbio. Anche qui la scelta di Guadagnino è diametralmente opposta: il suo Suspiria gioca a carte scoperte, mostrando la vera indole delle arpie fin da principio, e trasformando l’intero film nella lunga preparazione di un rito sabbatico, che sostanzialmente coincide con la coreografia provata dalle ballerine. E sebbene si chiuda con un doppio colpo di scena, non esiste un vero meccanismo di suspense che attraversi tutta la narrazione, piuttosto c’è la lunga attesa di una resa dei conti e dell’esplosione di un immaginario horror a lungo covato.

Nel film si stagliano infatti non più di due (straordinarie) sequenze di puro genere – una all’inizio, la seconda proprio in fondo -, nonostante le quasi due ore e mezzo di film. È il terzo e ultimo tradimento di Guadagnino, perché, in definitiva la storia resta la stessa. Ma se il film di Argento era un efficiente dispositivo di paura, composto come una galleria di personaggi ambigui e repellenti, e di morti misteriose quanto elaborate (la stanza di filo spinato, il falco di pietra che prende vita), questo Suspiria è piuttosto una costruzione ambientale estremamente lavorata, e raffinata, dove la paranoia sociale, il decorso storico e il metodo soprannaturale si mischiano in una matassa ricca di colori ma anche caotica e difficile da districare. E alla fine l’impressione è che amalgamare così tanti sapori diversi abbia richiesto più tempo di quanto lo spettatore sia disposto a concedere a una vicenda e a un mondo che in linea di massima già conosce.

Il Suspiria di Guadagnino è insomma un film d’autore di serie A che si diverte a rischiare momenti di pura serie B (e potremmo proseguire con l’alfabeto), alto e basso – gore, slapstick e Thom Yorke. Ci sono un paio di segmenti che faranno la felicità degli appassionati horror (la scena del balletto “spaccaossa” che già aveva procurato svenimenti al Cinema-Con è effettivamente senza precedenti) e lunghi quadri d’ambiente, o approfondimenti sul background dei personaggi che solleticheranno il palato di chi cerca sempre un’ambizione ulteriore e soprattutto separata rispetto al puro genere.
È molto difficile decidere della riuscita dell’operazione, ma l’oggetto è senza dubbio singolare e affascinante.

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