The Handmaid’s Tale: la recensione dei primi 4 episodi della quarta stagione

I nuovi episodi saranno disponibili su TIMvision dal 29 aprile

The Handmaid's Tale
PANORAMICA
Regia (3)
Cast (2.5)
Innovazione (2)
Narrazione (2.5)

Originariamente prevista per l’autunno 2020, ma in uscita solo adesso a causa della pandemia, la quarta stagione di The Handmaid’s Tale arriverà domani su Timvision, a 24 ore dall’uscita americana. I primi 4 episodi, concessi in anteprima alla stampa, ci riportano nell’universo sprigionato dal romanzo di Margaret Atwood Il racconto dell’ancella e nelle vicende distopiche per il piccolo schermo della protagonista interpretata da Elisabeth Moss: delle sorti affrontate nuovamente con una considerevole dose di ferocia, senza contare che il romanzo sequel I testamenti, uscito a settembre, darà probabilmente nuovo slancio al futuro del racconto con un salto temporale, a livello narrativo, di 15 anni.

Il numero di episodi, rispetto alle ultime due stagione, sarà non di 13 ma di 10. Alla fine della terza stagione avevamo visto June Osborne/Difred fallire il tentativo di trarre in salvo dei bambini dagli abusi del regime dittatoriale (lei e le altre ancelle sono ritenute responsabili della fuga da Gilead di 84 bimbi). La quarta, dal canto suo, riannoda il filo esattamente da dove avevamo lasciato The Handmaid’s Tale, con i Waterford, Fred (Joseph Fiennes) e Serena (Yvonne Strahovski), pronti per essere processati per crimini di guerra. 

I primi quattro episodi, intitolati Pigs, Nightshade, The Crossing e Milk (il terzo segna l’esordio alla regia della stessa Moss), sono perfettamente coerenti col passato della serie e dispensano una generosa quantità tanto di immagini estetizzanti quanto di momenti crudi: delle sequenze che, in qualche frangente specifico, sconfinano a chiare lettere se non nel torture porn quantomeno nella spettacolarizzazione sommaria, stratagemma (e talvolta scorciatoia) da tempo connaturato alla serie. La sensazione è quella che questo marchio di fabbrica inalienabile del prodotto non conceda via di fuga, continuando a esplorare i dettami castranti di una società maschilista e patriarcale, nella quale le donne sono ridotte a meri corpi finalizzati alla procreazione. 

La dimensione fisica tuttavia, anche in questi ulteriori quattro episodi, è quasi rinnegata ed espulsa, per continuare ad amplificare il peso di una messa in scena all’altezza degli standard della serialità contemporanea ma senza increspare, di fatto, la superficie delle immagini. A risaltare, per forza di cose, è soprattutto l’evoluzione della protagonista, che dopo essere stata in passato vittima e sopravvissuta è ora una figura in grado di incarnare attivamente e fisicamente, in potenza, la sovversione delle storture. Non a caso la sua sofferenza viene sublimata a più riprese, anche da scelte formali che cercano di trasportare il suo dolore su un piano quasi sacrale, ma intuiamo che troppe cose si sono rotte dentro June per poterla considerare monolitica come le apparenze potrebbero suggerire. E le ombre intorno e dentro di lei, oltre che fuori, non a caso si stagliano sempre più ampie e minacciose. 

A giudicare dall’inizio della quarta stagione, sarà proprio però la gestione di June a fare la differenza per le future sorti di The Handmaid’s Tale, visto che tutto il resto non sembra essersi granché smosso rispetto al passato, al di là della fisiologica prosecuzione del racconto. Elisabeth Moss, che della quarta stagione è produttrice esecutiva, ne ha diretto anche altri due episodi oltre a quello già citato: la sensazione (o la speranza) è quella di intravedere nei prossimi episodi un’evoluzione di June guidata anche dal suo apporto diretto dietro la macchina da presa (in attesa ovviamente della quinta stagione, già confermata).

Foto: MovieStillsDB

 

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