The Possession, parla il regista Ole Bornedal: «Mi ispiro a L’Esorcista e Poltergeist»

L'horror prodotto da Sam Raimi arriverà in sala il 25 ottobre

The Possession, l’horror prodotto da Sam Raimi, arriverà in sala il 25 ottobre. Al centro della storia, una bambina che – dopo essere venuta in possesso di una misteriosa scatola di legno – deve fare i conti con un antico demone, deciso a prendere possesso del suo corpo. Nel cast, oltre alla giovanissima Natasha Calis, vera rivelazione del film, ci sono anche Jeffrey Dean Morgan (Grey’s Anatomy, Watchmen) – di cui vi abbiamo proposto alcuni giorni fa un’intervista esclusiva – e Kyra Sedgwick (The Closer).

Oggi, ancora in esclusiva, vi proponiamo un’intervista al regista del film, il danese Ole Bornedal, noto soprattutto per il bellissimo thriller Nightwatch – sia l’originale, che il remake americano con Ewan McGregor e Nick Nolte. Bornedal ci ha raccontato la sua visione del genere horror, in particolare per quel che riguarda le storie di possessioni, svelando una prospettiva per nulla banale sul tema. Una chiacchierata molto interessante, aperta da lui stesso con un aneddoto divertente. Per capirlo bisogna considerare che si è seduto al nostro tavolo subito dopo la fine dell’intervista con Jeffrey Dean Morgan e Natasha Calis.

Nessuno vuole mai parlare con il regista. Sono stato giornalista anch’io, per la televisione danese, e mi era capitato di dover intervistare Tom Cruise e Dustin Hoffman per Rain Man. Chiacchierata fantastica. Poi era arrivato il momento del regista, fra l’altro Barry Levinson, mica l’ultimo arrivato, e per dieci minuti ho pensato “Ok, ma chissenefrega?”.

Che rapporto hai con il genere horror?
Alle volte i film horror sono troppo disgustosi per me. La parte spaventosa è nei silenzi, nella profondità e nel realismo dei personaggi, non nel modo in cui esplode una testa. In The Possession abbiamo cercato costantemente di “umanizzare” la storia.

Qual è la peculiarità degli horror sulle possessioni?
Bisogna considerare che l’horror in generale racconta il Male al di fuori di noi. Un Male che però vuole entrare in noi, e dunque bisogna evitare che questo succeda.  Il che se ci pensi è completamente sbagliato. Il male non è al di fuori di noi, fa parte del nostro corredo genetico. E la ragione per cui esistono la letteratura, i film, l’educazione, perfino la religione, è proprio combattere quella parte malvagia che è in noi, quotidianamente. Eppure capita che anche persone integrate nella società, con un’educazione normale, improvvisamente diano fuori di matto e commettano una strage. Credo sia per questo che i film sulle possessioni sono così suggestivi, perché parlano del fatto che il male è radicato dentro di noi, e in qualche modo lo rendono concreto, lo visualizzano.

Quali film horror ti hanno ispirato maggiormente?
Ci sono pochi film da ricordare, molti è meglio dimenticarseli. Prima di girare The Possession ho rivisto alcuni film del terrore che sono sicuramente da ricordare, perché sono ancora film brillanti. Come L’esorcista, certo, ma anche Poltergeist, L’inquilino del terzo piano, Repulsion… La caratteristica comune è proprio l’attenzione che danno al contesto umano. Ci sono persone “vere” in quei film. L’esorcista funziona in gran parte grazie alla figura della madre. Poltergeist grazie al ritratto della famiglia. Ed è quello che ho cercato di fare anche con il mio film: creare la storia di una famiglia. Un’atmosfera di tristezza dovuta a questa famiglia che va in pezzi. Solo quando hai creato quell’atmosfera puoi cominciare a far accadere cose spaventose, in modo che siano davvero efficaci.

Natasha, nel ruolo principale, è veramente una rivelazione. Come l’hai scovata?
Ho un mio sistema quando si tratta di fare il casting a bambini o teenager. È come se li ipnotizzassi, li conduco in una specie di viaggio mentale e poi gli faccio delle domande chiedendogli di identificarsi in un personaggio. Mi serve per vedere quanto sono veloci a entrare in contatto con le proprie emozioni. Quando ho fatto questa cosa con Natasha chiedendole di impersonare Em, la ragazzina del film, e le ho chiesto chi fosse quella presenza accanto a lei, parlando al maschile… Beh, lei si è messa a singhiozzare, e piangere, e a urlare “Non è un lui, è una lei, è una lei!”, una cosa veramente spaventosa, mai visto niente di simile da quando faccio questo lavoro. (SPOILER, NdR) Tanto che ho deciso di tenerla nella sceneggiatura: il demone nel film è rimasto una donna, una donna vecchia.

Cosa pensi che resterà maggiormente del film tra qualche anno?
Forse il film non sarà ricordato per alcune ragioni, ma se c’è una per cui lo sarà, quella è senz’altro Natasha.

Quale pensi che sia la scena più spaventosa che hai girato?
Credo che la scena più spaventosa, ancor più di quella in cui Em vede la mano del demone in fondo alla sua gola, sia quella in cui la madre la trova in cucina che mangia per terra carne cruda, muovendosi come un animale. Quando alla fine la ragazzina rinviene, si mette a piangere e chiede: “Chi sono io? Chi sono io?!”. Ecco, io sono un padre, ho una famiglia, e non c’è niente che mi spaventi di più di quella scena.

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