A Marrakech, dove è presidente di giuria del locale festival del cinema, Martin Scorsese incontra i giornalisti dopo l’avvertimento del suo ufficio stampa: «Preferisce non parlare di The Wolf of Wall Street». Poi, come è suo solito, il regista premio Oscar per The Departed si fa prendere dall’entusiasmo, e qualsiasi domanda diventa il pretesto per una vera e propria lezione di cinema piena di citazioni e parallelismi tra film, attori e cinematografie del passato e del presente. È un vero fiume in piena e così non c’è più nessun argomento tabù che tenga, compreso il suo nuovo e atteso film.
Per la quinta volta Leonardo DiCaprio è protagonista di una sua pellicola: cosa la piace dell’attore californiano?
«Non sono uno di quei registi capaci di lavorare con chiunque. Devo sentirmi a mio agio e lui è una persona con cui mi trovo in sintonia. Con De Niro mi bastava uno sguardo. Conosceva la mia famiglia, conosceva i miei amici e l’ambiente da cui venivo. DiCaprio è più giovane, ma ha una curiosità e una sensibilità che è simile alla mia. È uno con cui si può parlare di cinema, che ti cita entusiasta una scena del Solaris di Tarkovskij che ha visto il giorno prima o con cui posso passare ore a chiacchierare di jazz e Louis Jordan. E poi gli piace rischiare. Anche per The Wolf of Wall Street si è spinto molto in là, l’ha presa come una sfida dando tutto sé stesso».
L’Oscar ricevuto nel 2007 l’ha in qualche modo sollevata di un peso?
«Non è un problema di premi, non ero ansioso di ricevere un riconoscimento dall’Academy, ma la statuetta aiuta da un punto di vista produttivo. Non per il film per cui l’hai vinto, ma per quello che farai dopo. Per me, che ho realizzato Mean Streets nel 1973, ricevere un Oscar più di trent’anni dopo è stato un modo per ricordare ai produttori che da me ci si poteva aspettare anche di più di buoni successi al botteghino».
Ha avuto problemi produttivi anche per The Wolf of Wall Street?
«Sì, ma non è stato solo un discorso di natura economica. Cominciammo a pensare al film già nel 2008, quando uscì l’autobiografia di Jordan Belfort, poi però con l’arrivo della crisi finanziaria si pensò che non era il momento giusto e così, prima di rimettere assieme il budget, sono passati cinque anni».
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