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Tromperie – Inganno: la recensione del film di Arnaud Desplechin tratto da Philip Roth

Il film del regista francese tratto dal romanzo "Inganno" dello scrittore americano ha per protagonisti Denis Podalydès e Léa Seydoux

Tromperie – Inganno: la recensione del film di Arnaud Desplechin tratto da Philip Roth

Il film del regista francese tratto dal romanzo "Inganno" dello scrittore americano ha per protagonisti Denis Podalydès e Léa Seydoux

Tromperie Desplechin
PANORAMICA
Regia (4)
Sceneggiatura (3.5)
Interpretazioni (4)
Fotografia (3.5)
Montaggio (3.5)
Colonna sonora (3)

Londra, 1987. Philip (Denis Podalydès) è un famoso scrittore americano in esilio. La sua amante (Léa Seydoux) viene regolarmente a trovarlo nel suo ufficio. I due fanno l’amore, discutono, si ritrovano e parlano per ore: di donne, sesso, antisemitismo, letteratura, fedeltà verso sé stessi

Lui prende nota su un taccuino, scrive un romanzo sulla loro relazione, lei prova a condurre una vita da donna emancipata. Quando la moglie dello scrittore scopre gli appunti, lui si appella alla fantasia e alla molteplicità dei suoi desideri. 

Tratto dal romanzo Inganno di Philip Roth, Tromperie – Inganno (Deception il titolo anglofono), passato allo scorso Festival di Cannes e nella sezione Fuori Concorso/Surprise del 39esimo Torino Film Festival, è l’ennesimo gioiello della filmografia suadente e multiforme del cineasta francese Arnaud Desplechin, che attraverso 12 capitoli traduce in modo personalissimo le pagine del grande scrittore americano per tornare a riflettere su un tema caro a tutta la sua filmografia: il confine labilissimo, oltre che mortalmente seducente ed erotico, tra esperienza e idealizzazione della condizione amorosaportato avanti attraverso l’esclusivo filtro della creazione letteraria di un immaginario e di un sentimento dello stare al mondo

Una condizione indispensabile per la creazione, nella quale è soprattutto l’esercizio vanesio e generativo della parola – tanto quella scritta, quanto quella al servizio di immagini surreali e magnetiche, tra dissolvenze incrociate e soluzioni da cinema delle origini – a scandire e puntellare le zone d’ombra tra realtà e finzione, tra concretezza ed erosione di ogni appiglio alla carnalità. Se per David Foster Wallace ogni storia d’amore era una storia di fantasmi, per Desplechin, amate smisurato del mélo e dei capricci intellettuali, a questo giro – ma non è certo la prima volta – ogni storia d’amore sembra essere, prima di tutto, una storia culturale.

Nel cast del film, semplicemente sensazionale anzitutto per aderenza dei volti ai personaggi, spiccano una stratosferica e sempre più ispirata, eclettica e prolifica Léa Seydoux, qui perfettamente a suo nei panni della musa tormentata, catalizzatrice di fantasie smodate ma anche di un forte senso di autodeterminazione nell’accettare la bizzarria indomabile della propria femminilità, e anche l’impeccabile Podalydès, che in questa versione tutta francofona dell’autore di Pastorale americana e La macchia umana non è affatto da meno. 

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