Venezia 69: Alle Giornate degli Autori il Pinocchio di D’Alò e Lucio Dalla

Il regista de La Gabbianella e il Gatto presenta al Festival, in anteprima mondiale, la sua ultima fatica dalle atmosfere intimamente autobiografiche, ispirata alla fiaba di Collodi

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Oltre al concorso ufficiale, alla 69esima Mostra di Venezia hanno alzato il sipario anche le sezioni parallele, tra cui la nona edizione delle Giornate degli Autori, con i corti Miu Miu Women’s Tales e l’anteprima mondiale di Pinocchio di Enzo d’Alò (ieri in seconda serata per la stampa e oggi per il pubblico), il film d’animazione ispirato a Le avventure di Pinocchio di Collodi e realizzato con la collaborazione di Lucio Dalla, che ha curato la colonna sonora e doppiato uno dei personaggi. L’artista, scomparso lo scorso marzo (poco dopo aver ultimato il suo lavoro a Pinocchio), è stato ricordato all’apertura dal Delegato delle Giornate, Giorgio Gosetti: «Dedichiamo questa giornata a due idee: il coraggio dell’intelligenza e il piacere della fantasia. Ed è naturale che un pensiero speciale da tutti noi vada a Lucio Dalla».

Della sua collaborazione con Dalla, D’Alò ricorda: «La storia di Collodi pretendeva suoni suggestivi, classici e moderni al tempo stesso. Lucio aveva una passione per Rossini, la cui musica avevo scoperto, man mano che lavoravo, avere molte analogie con Pinocchio. Addirittura le prime parole del libro “C’era una volta un re…” echeggiavano la prima frase musicale di Cenerentola: “Una volta c’era un re”. Fu proprio dalla musica di quest’opera lirica che cominciammo a sviluppare i temi musicali del film. E’ stato un lavoro di passione ed energia durato tre anni per una colonna sonora ricca ed elaborata, poetica e raffinata ma allo stesso tempo popolare e contaminata, hip hop, charleston, R&B, come deve essere la musica di un film rivolto a un pubblico eterogeneo. E la presenza di Lucio, musicista eclettico e appassionato, si percepisce anche nei suoi assoli di clarinetto o nella canzone piena di ritmo e allegria che descrive il Paese dei Balocchi».

D’altra parte, come la sua colonna sonora, il film è un adattamento poetico e raffinato dell’opera di Collodi. Che alla nota fiaba morale aggiunge un’atmosfera e una dimensione oniriche mai prima d’ora così preponderanti, frutto dell’immaginifica regia di D’Alò e del tratto pittorico del disegnatore Lorenzo Mattotti, al quale dobbiamo la creazione dei personaggi e degli splendidi paesaggi. Dal celebre classico Disney del 1940 allo sfortunato live-action di Benigni del 2002, il burattino ha fin dagli albori affascinato la settima arte (con sviluppi che arrivano al 2014 con il progetto di Guillermo del Toro, che vedrà coinvolto Daniel Radcliffe come doppiatore del protagonista) e il confronto è inevitabile, nonostante una delle prime premure del regista fosse quella di «superare gli inevitabili paragoni con tutti coloro che si erano cimentati in passato con questo romanzo». D’altra parte, se ad esempio il film d’animazione della casa di Topolino resta un capolavoro intramontabile, questo nuovo Pinocchio trova il suo asso nella manica, oltre che nell’eleganza visiva, nell’ampio target al quale si rivolge, puntando – contrariamente al suo predecessore – a un pubblico più adulto e maturo, che ne riesca ad apprezzare sottotesti e piani di lettura. Che lo stesso D’Alò ha ricostruito dopo anni di tira e molla impiegati nella ricerca di una «strada corretta e originale per ri-raccontare la storia di Pinocchio». La via giusta è arrivata dopo la scomparsa di suo padre, come egli stesso ha raccontato: «Per quale motivo Collodi scrisse una storia per bambini moralista, proprio lui che moralista non appariva? Alle tante metafore contenute nel testo mi mancava il collegamento e soprattutto la motivazione iniziale dell’autore. Poi il mio babbo ci ha lasciati, una notte di novembre del 2003. La memoria di mio padre, il suo rifugiarsi in certezze perdute e lontane, cercare in noi figli la possibilità di rivivere ciò che aveva vissuto e di ciò che non aveva vissuto, perduto… Ho riletto il romanzo sotto questa nuova luce. Mentre Geppetto costruisce Pinocchio si rivede nel suo volto… Si accorge di trasformarsi nel padre di se stesso… Forse Geppetto costruisce Pinocchio nella speranza di non finirlo mai? Il suo obiettivo è il percorso… Il rimpianto, la memoria, il futuro e le aspettative diventano Pinocchio».

 

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