Venezia 69: Bellocchio risveglia le coscienze con Bella addormentata

Il regista presenta il secondo film italiano in gara per il Leone d'oro, insieme al suo stellare cast. Da Toni Servillo a Isabelle Huppert, da Maya Sansa ad Alba Rohrwacher

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«Eluana, svegliati! Ti vogliono uccidere». «L’amore cambia il modo di vedere le cose. Non è vero che acceca, anzi». «Non puoi imporre agli altri quello che a te sembra giusto». «La bambina non è morta, ma dorme». «La sofferenza non nobilita l’uomo, lo spegne». «Tu sei libera di ammazzarti e io di non farti ammazzare». «Lasciatemi tornare alla casa del padre».

Così, per bocca dei suoi personaggi, tramite immagini di repertorio (web e televisive) che si alternano, incrociano e amalgamano con il racconto di finzione, Marco Bellocchio manifesta il suo pensiero e quelli di un Paese intero, volente o no chiamato a riflettere durante e dopo “l’ultimo viaggio di Eluana Englaro”, dalla casa di cura Talamoni di Lecco alla residenza sanitaria assistenziale La Quiete di Udine, dove è stata dichiarata la sua morte dopo 17 anni di coma vegetativo il 9 febbraio 2009.

Il cuore del suo Bella addormentata, in concorso alla 69esima Mostra di Venezia, è proprio questo. Nessun moralismo, ma una sorta di manifesto collettivo che mira al rispetto delle scelte proprie e altrui, al risveglio dal torpore delle coscienze e all’inviolabilità del libero arbitrio. Eluana, i suoi cari, il suo papà “guerriero” non compaiono mai direttamente, la loro vicenda resta sullo sfondo, ma la loro storia diventa quella di tutti, attraverso l’avventura umana dei personaggi del film emotivamente, umanamente, politicamente collegati, le cui vite sono a una svolta. Così, conosciamo Maria (Alba Rohrwacher), attivista del movimento per la vita che con i suoi amici manifesta davanti a La Quiete (durante il ricovero di Eluana) e s’innamora di un esponente del fronte laico con problemi famigliari, Roberto (Michele Riondino), mentre il padre (Toni Servillo), un senatore deve scegliere se votare una legge voluta dal suo partito, ma che non gli appartiene. Incontriamo la tossica Rossa (Maya Sansa), salvata da un medico (Pier Giorgio Bellocchio) al suo ennesimo tentativo di suicidio. E ci imbattiamo in una grande attrice (Isabelle Huppert), che ha abbandonato marito (Gianmarco Tognazzi), figlio (Brenno Placido) e carriera per dedicarsi alla preghiera, nella speranza che la sua stessa bambina si risvegli da un coma irreversibile.

Ai suoi personaggi, quindi, il regista fa ancora una volta incarnare i temi ricorrenti del suo cinema, ovvero impegno politico e sociale, fede e famiglia. La presenza del senatore ribelle fornisce, in particolare, a Bellocchio la chiave per una digressione politica parallela alle trame principali, che tuttavia smorza la potente tensione drammatica ricercata, e la sensibilità e la delicatezza con le quali dipinge i sentimenti più intimi dei suoi eroi. Un sottotesto volutamente straniante – come spesso accade nel cinema dell’autore –, che fa perno sul simbolico personaggio interpretato da Roberto Herlitzka, lo psichiatra dei senatori. Con i suoi cinici consigli e le sue “massime”, questa figura atavica e senza tempo, delinea gli inquietanti retroscena della (nostra) classe politica – marcia, cieca, autoreferenziale e imprigionata in riti autarchici, di cui il berlusconismo è stato/è, secondo l’autore, l’emblema -, sfondando indirettamente la quarta parete e rivolgendosi quindi più al pubblico in sala che ai suoi interlocutori sullo schermo.

D’altra parte, l’intero cast – Toni Servillo e Isabelle Huppert su tutti – ci regala grandi interpretazioni. Nei personaggi ognuno di noi troverà se stesso, il proprio credo, il proprio punto di vista.

A ognuno di noi, quindi, il regista regala la propria sentenza, pur lasciando emergere che non c’è una reale risposta, che la vita è un dono così prezioso, ma allo stesso tempo tanto privato e intimo da sfuggire a qualunque tipo di legge, regolamentazione e polemica.

Leggi l’intervista ad Alba Rohrwacher

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