Animali notturni

C’è nel cinema di Tom Ford, ovvero nella somma dei suoi due film, una generale compostezza, un’attenzione rigorosa al modo in cui le forme occupano lo spazio, una specie di serietà esibita, tutte cose che rimandano al suo lavoro di stilista senza nemmeno che uno debba sforzarsi troppo per notarlo.

Il passo in là, dove cioè dimostra di pensare in termini cinematografici, Ford lo compie – e non accadeva nello stilizzatissimo, immobile A Single Man – piantando dentro a Nocturnal Animals delle piccole increspature di genere (tra cui un singolo dettaglio, totalmente imprevisto, da dozzinale cinema horror, che è l’equivalente di un paio di calzini dei Pokémon sotto un completo da sera), e un’intera trama gialla parallela, che è solo una proiezione della fantasia della protagonista. L’effetto è che un dramma sentimentale finisce per sembrare un thriller.

La storia è quella di Susan (Amy Adams), un’insegnante di inglese di famiglia ricca e conservatrice, sposata con un giovane imprenditore fedifrago (Armie Hammer), che riceve all’improvviso per posta il nuovo romanzo del suo ex marito Walker (Jake Gyllenhaal), con cui aveva passato due anni intensi e snervanti ai tempi del college.

Ma il film è anche la storia del protagonista di quel romanzo: Tony (ancora Gyllenhaal), un professore universitario che intraprende un viaggio notturno attraverso il deserto con la moglie (Isla Fisher) e la figlia adolescente (Ellie Bamber). Fino a che non incappa in una banda di delinquenti che trasformano la sua vita in un incubo.

Sullo schermo la storia di Susan e quella di Tony – e non è un caso che il romanzo d’origine, di Austin Wright, si chiamasse proprio Susan & Tony – si incrociano, assieme ad alcuni flashback della stessa Susan accanto a Walker, negli anni in cui si erano amati.
C’è quindi una convergenza di tre sospensioni – ovvero una tripla suspense ben gestita, e non mi pare poco -, una presente, una passata e infine una immaginaria, sulla quale convergono le prime due. L’epilogo forse è prevedibile, ma – appunto – per quanto Ford abbia giocato a illuderci, non stiamo parlando di un thriller ma di un dramma sentimentale.

Il senso del film non è da cercare molto più in là, perché non c’è altra ambiguità da sciogliere – e chi è ossessionato dalle seconde e triple letture farà meglio a rivolgersi altrove – ma un unico trauma da elaborare attraverso tre storie diverse. Eppure da questo piacere del fare cinema con ambizioni soprattutto formali, la consistenza dei personaggi, la loro sofferenza, emerge in modo molto più spontaneo che non, per dire, in The Light Between the Oceans; a testimonianza che se al cinema vuoi proprio fare lo stilista, aiuta se lo fai già con successo nella vita.

Mi piace
L’attenzione rigorosa alla messa in scena formale, con increspature di genere.

Non mi piace
L’epilogo forse un po’ troppo prevedibile.

Consigliato a chi
Cerca un dramma sentimentale mascherato da thriller.

Voto: 4/5

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