Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie: la recensione di Giorgio Viaro

Il fotorealismo del digitale puro – consideriamo tale anche la performance capture – sta diventando un sostituto assoluto dell’azione come vettore di spettacolo. Cioè: facciamo scimmie in CGI talmente stupefacenti che non abbiamo nemmeno bisogno di distruggere palazzi. Non è la scuola di Michael Bay (fotorealismo e calcinacci), ma è una scuola che fa contenti i critici e ottiene buoni risultati al botteghino.

La seconda parte del reboot del Pianeta delle Scimmie (Apes Revolution) è costruita come la prima: per oltre metà film l’ambizione è fare cinema politico/parlato (più precisamente: le scimmie si esprimono e gesti ed è spesso necessario leggere i sottotitoli), relegando appunto lo show al design di produzione (incredibili primati in computer grafica, il villaggio nella foresta, San Francisco invasa dalla vegetazione): l’umanità è stata quasi interamente sterminata da un virus, e le scimmie si sono organizzate in una specie di comunità utopica guidata da Cesare (ancora animato da Andy Serkis), in cui si uccide solo per mangiare e si combatte solo per definire la leadership. Il resto è solidarietà e famiglia. Un equilibrio che viene turbato dall’arrivo di cinque uomini: sono in cerca di una diga che potrebbe ridare l’elettricità all’ultimo avamposto umano, ma si trova in pieno territorio ostile. Tra loro c’è naturalmente un fascista maniaco delle armi, e parte una pallottola di troppo. Inizia tra le due specie una lunga trattativa, ma da entrambe le parti ci sono falchi e colombe. La tregua non regge e inizia lo scontro.

Qui Matt Reeves (Cloverfield) dimostra di nuovo di essere uno bravo, e costruisce una incredibile scena di assedio scimmiesco in cui il punto di vista cambia continuamente, salendo e scendendo di quota, avvicinando spesso l’estetica del videogioco (lo scimpanzé Koba che guida il carrarmato) ma pareggiandola al cinema, senza cioè sembrare furbo ma superficiale. La dinamiche dell’azione in un contesto quasi interamente fittizio potrebbero davvero essere studiate, e sono una buona ragione per vedere il film: anche quando è caotico non sembra un’aggressione. Il resto, a lungo, è misura e morale, che con tutti i soldi che ci sono in gioco non è nemmeno poco: la violenza è un virus senza distinzioni di specie, e la responsabilità sociale è sempre personale.

Per chiudere. La resistenza all’affabulazione senza sorprese e alla predica politicamente corretta cambia con lo spettatore – quindi vedetevela voi – ma la scrittura è limpida e la qualità della confezione impressionante; la prima scena in cui Koba si finge uno stupido di fronte a uomini armati è un prodigio di recitazione e informatica, unione commovente (raro caso) di talenti un tempo non comunicanti.

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Mi piace
Un caso raro di blockbuster adulto nella scrittura dei personaggi e non frettoloso nel far partire l’azione. E il fotorealismo delle scimmie è incredibile

Non mi piace
La costruzione del film è funzionale al messaggio ma fin troppo lineare. E senza scossoni si rischia di appisolarsi

Consigliato a chi
Crede che spettacolo non faccia necessariamente rima con caos e disimpegno

Voto: 3/5

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