Argo: la recensione di Antonio Montefalcone

Alla sua terza regia Ben Affleck ci regala un’opera matura e intelligente. Riuscito thriller dal ritmo mozzafiato, ricco di tensione e adrenalinica azione, fuso col dramma storico-politico, realistico e avvincente, nonché con un’autoironica satira su Hollywood e un sincero amore per il cinema, “Argo” tiene in armonia questi generi per raccontare un’importante pagina di Storia (per anni ignota al pubblico) tramite lo spettacolo più coinvolgente. Cambiando registro senza rovinare gli aspetti della trama, dosa con equilibrio la complessità della cronaca scomoda con l’inno al cinema come fonte di libertà umana, la tragedia intimistica dei personaggi con l’ironia, il senso di un mondo sempre più disincantato e ferito da guerre e rancori con un altro che si nutre della leggerezza di sogni e illusioni (non solo filmiche), proprio come l’eloquente protagonista, forte di valori e ideali e coerentemente di uno strumento di positiva persuasione e speranza che è il cinema. Affleck restituisce bene l’umanità del suo Tony, così solo e dedito all’amore per la patria e la famiglia, così volenteroso di credere nella riuscita di un’idea azzardata da lottare costantemente contro dilemmi morali, inquietudini e tormenti, paure di sbagliare e sensi di responsabilità.
Senza forzature o enfasi, ma con nobili intenti che fanno perdonare la lieve retorica patriottica e una convenzionalità di fondo, la regia sposa benissimo l’asciutta, intensa e solida sceneggiatura dal taglio documentaristico e rispettosa delle tensioni di entrambi gli schieramenti. Con toni sobri e ironici e la forza del rigore etico, riesce ad amalgamare all’azione delle sequenze iniziali e finali le sofferte vene intimistiche dei personaggi, e regalare anche sferzate satiriche sul mondo di Hollywood (memorabili qui Goodman e Arkin).
La pellicola di Affleck, diverte, emoziona, ricorda i film impegnati di Lumet e Pollack, lancia interessanti riflessioni (il passato specchio del presente nelle crisi di Stati che minacciano i rapporti internazionali) ed è di ottima fattura: attenzione ai dettagli e messa in scena curata, eleganza stilistica e confezione di classe. Notevole anche l’efficace ritratto degli anni ‘70 nella sua convincente estetica (credibile quanto il protagonista); il valido cast ben diretto; la fotografia che passa dai toni caldi e sgranati dell’Iran a quelli solari di Hollywood e a quelli freddi della CIA; il sapiente montaggio che inserisce anche didascalici filmati di repertorio e fumetti all’interno della pellicola; le musiche rock evocative del periodo; le cupe atmosfere che colgono i sentimenti dei personaggi e di quegli anni; gli imperdibili titoli di coda. Ma è nel gioco degli intrighi e delle apparenze che si svela il senso ultimo dell’opera e il suo fascino.
“Argo” è metafora del meccanismo del cinema che sfrutta la finzione nei e dei film per dare loro l’apparenza del reale. Meccanismo applicato anche dalla realtà dell’evento storico che la pellicola racconta. Il fascino di “Argo” è in questo interscambiabile rapporto «realtà – finzione» (dove il finto passa per reale, e il fatto storico è talmente incredibile e surreale da sembrare finzione, fantasia filmica) e soprattutto nell’elogio del potere della finzione (questa non soltanto produce l’illusione del reale, ma riesce anche a manipolare e trasformare la nostra realtà).
E alla fine ci ricorda che Hollywood, attraverso i suoi film, non soltanto ha creato sogni destinati all’immaginario collettivo, ma ha anche inciso sulla trasformazione del nostro mondo reale. E i film, veri o falsi che siano, attraverso le loro finzioni, non soltanto hanno fatto la storia del cinema, ma anche modificato e salvato, dal di dentro, fatti ed eventi della nostra Storia.

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