Babadook: la recensione di Daniela Bizzarro

Favola morale in chiave horror, The Babadook, la pellicola diretta da Jennifer Kent, è lontana anni luce dall’horror moderno.
La somiglianza tra la filastrocca «Chiudi gli occhi e lui è con te… Sei già morto, un due tre», e quella che annunciava l’arrivo di Nightmare, è forse l’unico legame che Babadook, moderna rappresentazione dell’Uomo Nero, ha con il genere horror, nonostante sia pubblicizzato come tale.

La storia gira intorno ad Amelia, una giovane donna che vede morire suo marito in un tragico incidente stradale, proprio mentre la sta accompagnando in ospedale per partorire. Da qui l’ambiguo rapporto di lei con il figlio Samuel, in cui rivede giorno dopo giorno l’orrore di quella notte e il dolore per la perdita del marito, ma a cui resta comunque attaccata per senso materno. Il bambino, che risente dell’atteggiamento della madre, diventa ribelle e aggressivo, generando in Amelia altro malumore, destinato a materializzarsi in Babadook: l’oscura figura che prende vita dopo che la donna lo invoca per sbaglio, leggendo un libro trovato per caso in un cassetto a casa loro: la stessa casa dove restano imprigionati.

La pellicola, che può essere considerato un thriller psicologico piuttosto che un horror, sfruttando quelle che possono essere considerate le basi più classiche del genere, non spaventa lo spettatore ma gli fa capire cosa significhi aver paura, cosa voglia dire imparare a convivere con i proprio demoni, per riuscire a ritrovare un barlume di speranza.

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