Beata ignoranza: la recensione di Mauro Lanari

Se già un Virzì qualunque viene considerato il salvatore della patria con la sua smunta e derivativa “commedia all’italiana di costume”, figuriamoci un Bruno epigono da format televisivo o da web channel nei contenuti e nel(l’im-)pianto registico. Affonda pure Giallini, un caratterista formidabile a cui si può chiedere di regger’il film solo se la sceneggiatura lo supporta, altrimenti si riduce anche lui a un paio di gag di repertorio ben riproposte. Un plot citofonato dall’inizio alla fine o forse chattato, twittato, whatsappato, anzi no: ciclostilato all’antica. Muffa, tecnologica ma muffa. “Per questo, viene da pensare che semplicemente non ci sia altro se non la banalità esposta ed elevata a ragionamento.” All’appello manca la Pandolfi. Notizie positive: Mastandrea ha saput’evitare ‘sto trappolone e Wonder ’76 è trattato come merita.

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