Ben-Hur: la recensione di Idda

Sarebbe impossibile parlare dell’ultima versione di Ben-Hur senza fare riferimento all’epica produzione del 1959 che, fino a quando Rose non costrinse Jack giù dalla porta, rimase detentrice del maggior numero di Oscar vinti (11, tra cui Miglior Film).
La storia non differisce dalle molteplici versioni cinematografiche e adattamenti teatrali, così come presentata nel romanzo del 1880 di Lew Wallace (Ben-Hur: A Tale Of The Christ).
Il principe ebreo Judah Ben-Hur (Jack Huston) e l’amico romano (in questa versione fratello adottivo) Messala Severus (Toby Kebbell) sono fedeli l’uno all’altro e uniti a tal punto da accettare con gioia che quest’ultimo sia innamorato della sorella del primo, Tirzah (Sofia Black-D’Elia).
Tuttavia, al raggiungimento dell’età adulta, Messala decide di scrivere la sua storia al di fuori di Gerusalemme e arruolarsi nell’esercito romano in cui si distinguerà per coraggio e valore fino a diventare centurione. Al ritorno a Gerusalemme, con l’incarico di protettore di Ponzio Pilato, Messala deve gestire le continue rivolte degli zeloti e condanna lo stesso Ben-Hur (assuntosi la colpa di un attentato a Pilato) ai lavori forzati nella plancia di una galea, costringendo il resto della sua famiglia (Tirzah, la moglie Esther e la madre) alla prigionia e la povertà.
Dopo cinque anni di schiavitù, Ben-Hur riesce a tornare a casa e vendicarsi di Messala durante la famosa quadriga all’interno della nuovissima arena romana, costruita con le pietre del cimitero di Gerusalemme.
Ovviamente sempre presente il percorso incrociato con la vita di Gesù (Rodrigo Santoro) che tuttavia in questa versione ha contributi molto marginali e elargisce moniti filosofici al punto che la presenza del messaggio cristiano risulta forzata all’interno della magnifica cornice di set design e l’adrenalinica atmosfera delle corse.
E pare proprio che fosse quello lo stimolo principale dietro questo remake: l’attrarre un pubblico religioso proponendo un blockbuster fruibile da tutti, così come fu il tentativo di Exodus .
L’epica storia è considerata tale anche perché nelle precedenti versioni, in particolare quella di William Wyler, dura almeno due ore e mezza, mentre quest’ultima del regista Bekmombetov sfiora appena la doppia ora.
Per questo motivo la pellicola è stata additata da molti critici come “troppo condensata” ma io non sono necessariamente d’accordo. Più che altro è moderna in tutto e per tutto e poteva trasformarsi in un tragico esubero di CGI quando, di fatto, ci propone un frammento di battaglia navale tra le più interessanti viste recentemente.
Dunque è vero che questo moderno Ben-Hur non presenta performance attoriali degne di nota, un messaggio cristiano consistente o un’interessante chiave di rilettura della storia classica ma assicura due ore d’intrattenimento e tanto di Morgan Freeman in versione rasta. Che non guasta mai.

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