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Big Hero 6: la recensione di Andrea Diatribe

“Big Hero 6” è il nuovo film d’animazione della Disney, e il primo ispirato a un fumetto sui supereroi omonimo della Marvel (di proprietà della casa di Topolino).
Il film ci catapulta immediatamente nei vicoli notturni della metropoli futuristica San Fransokyo (un mix architettonico di San Francisco e Tokyo), dove Hiro Hamada, un giovane prodigio della robotica, impiega il suo genio nei bot fight, combattimenti clandestini in cui i duellanti utilizzano robot. Hiro è uno scapestrato adolescente che non impiega bene le sue virtù, se non fosse per suo fratello maggiore Tadashi – artefice di Baymax, un robot gonfiabile XXXL in vinile che si presta come infermiere tuttofare – che lo incoraggia a iscriversi alla prestigiosa San Fransokyo Institute of Technology, scuola d’avanguardia nella ricerca scientifica composta da giovani talenti. Hiro sostiene il test d’ammissione positivamente portando i microbot, minuscoli robot che, tramite controllo mentale, possono aggregarsi per assumere qualsiasi forma. Una scomparsa improvvisa si abbatterà però sulla vita di Hiro che, per fortuna, troverà accanto a sé un aiuto sia sanitario che emotivo da Baymax e da un gruppo di studenti che si uniranno per smascherare un criminale chiamato Yokai, il quale sta sfruttando l’invenzione di Hiro a sua insaputa.
Dopo il film Pixar “Gli Incredibili – Una ‘normale’ famiglia di supereroi”, il cinema americano d’animazione ritorna a parlare di supereroi. La volontà di portare sul grande schermo un comics Marvel viene affrontata per la prima volta dalla Disney inserendo, nella sua cultura tradizionalmente occidentale, una ventata di gusto asiatico: lo si vede bene nella città esotica di San Fransokyo – che per la sua creazione digitale si è servita di un software di rendering, Hyperion, appositamente sviluppato per il film – in cui le luci al neon e l’energia della capitale giapponese si amalgamano all’architettura storica di San Francisco; altri esempi di questo fenomeno si trovano nel protagonista, disegnato con tratti e capelli tipicamente orientali, e nel cattivo di turno che porta una maschera kabuki (dalla tradizione teatrale giapponese). Questa scelta di ibridazione architettonica è di riflesso anche culturale e sociale, e farà contento non solo il mercato statunitense ed europeo ma anche quello orientale.
Don Hall e Chris Williams, registi del film, propongono un racconto di formazione con una coppia insolita, Hiro e Baymax, che può essere affiancata a quella – pur essendo al tempo stesso diversa – del giovane e del drago vista nei recenti gioiellini DreamWorks “Dragon Trainer” e “Dragon Trainer 2”. L’affiatamento che si va a creare lentamente nei due protagonisti, nelle sequenze delle cavalcate aeree, viene riproposto nel film Disney, in una delle scene più mozzafiato del film, dove Hiro vola, piroettando sulla città, con Baymax, che indossa un’armatura con razzi costruita dal ragazzo. Viene anche da pensare che tutto questo sia anche una sottile frecciatina artistica e commerciale alla casa concorrente della Disney.
Pur avendo un buon gruppo di personaggi che vanno a formare il gruppo di supereroi, il pezzo forte per grandi e piccini è vistosamente dato dal personaggio extralarge di Baymax che invade lo schermo con la sua simpatica andatura e il suo altruismo “programmato”, con gag fisiche basate sulla lentezza (almeno inizialmente) dei suoi movimenti che vanno controcorrente a un montaggio dal ritmo altrimenti veloce, e che sostiene una trama che si sviluppa in maniera lineare e ordinata, che fa scorrere la visione del film senza intoppi che possano annoiare lo spettatore. Il tema del lutto e della sua elaborazione (come nei classici capolavori “Bambi” e “Il Re Leone”) viene affrontato nel racconto insieme ai valori dell’amicizia, della giustizia che può rischiare di divenire vendetta, e lo spirito di sacrificio che è tipicamente un valore cardine dell’animazione giapponese.
Dopo il successo precedente di “Frozen – Il Regno di Ghiaccio”, la Disney ha cambiato completamente rotta, portando il racconto da un’ambientazione nordica a una città futuristica, in cui a dominare non è la tradizione delle fiabe, ma quella più moderna dei supereroi.
I pregi maggiori di “Big Hero 6” rimangono la bellezza esotica di San Fransokyo – pensando anche alla sua folla caratterizzata da ben 670 personaggi diversi, che sono un record – una colonna sonora su cui spicca la canzone appositamente incisa per il film dai Fall Out Boy, “Immortals”, e il robot-infermiere (doppiato sorprendentemente bene da Flavio Insinna) che, se da una parte fa ridere e riesce a commuovere tanto (specialmente in due scene), dall’altra risulta troppo ingombrante e scioccamente ripetitivo in qualche scena: per questo rimane un gradino più in basso di “Frozen” e non riesce a essere un capolavoro.

Il film è preceduto dal corto “Winston” e dopo i titoli di coda di Big Hero 6 c’è una scena con un cameo di un signore piuttosto conosciuto nella Marvel.

Voto: 3,5/5

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