Blue Jasmine: la recensione di Antonio Montefalcone

Ormai è quasi una voce unanime e a ragion veduta: l’ultima pellicola di Woody Allen è di gran classe, di indubbia eleganza, cura e raffinatezza. Un Allen tornato in ottima forma, mai così essenziale e calibrato, mai così lucido, disperato e allegorico.
“Blue Jasmine” è un vivido e complesso ritratto femminile, ottimamente disegnato con maturità e sensibilità rare al cinema di oggi e sapientemente caratterizzato in funzione di un umorismo freddo e pungente, ma anche buono e compassionevole. “Blue Jasmine” è un dramma di psicologie fragili (depressione, esaurimenti, superficialità) che si descrive tra presente e passato (attraverso flashback continui) e si racconta sulle disgrazie della protagonista. Una tragedia, amara e disillusa, smussata nei toni e serrata nel ritmo, vitale e vibrante come molte efficaci sequenze, molti dialoghi arguti e di qualità, molti eloquenti primi piani. Già, i primi piani, quelli così intensi e sinceri, così cupi e concreti sul volto dolente e devastato da profondi malesseri, di una sempre affascinante, brillante (e in questo film soprattutto) eccezionale attrice, Cate Blanchett. Un’interprete perfetta, una prova di recitazione di altissimo livello, un ruolo giusto e scritto su misura per lei. La sua meravigliosa performance non solo dà forza e valore aggiunto ad un’opera già di per sé profonda ed intensa; ma riesce anche a trasmettere in modo massimale, autentico ed emozionante tutto il senso tragico del suo personaggio, del suo essere, della sua esistenza e di riflesso del film.
Nell’acuta rappresentazione delle ossessioni e insicurezze che dominano sentimenti, pensieri e stati d’animo della sua Jasmine; nelle vicende della sua seconda vita; nei suoi monologhi, si legge la lucida e pessimistica riflessione del suo autore sulla crisi di una classe sociale benestante e di un mondo come quello attuale fragile, smarrito e confuso. Sulle note malinconiche di un determinismo beffardo, è ancora una volta il destino a farla da padrone e a soggiogare l’essere umano; quel destino ineluttabile che anche Jasmine, più cerca di evitare e più vede inesorabilmente manifestarsi. Stavolta però non è disegno di ciò che le ruota intorno; stavolta il disegno è scritto in lei: è lei stessa vittima del suo stesso Io. Quel malessere che l’accompagna, è sempre stato insito nella sua esistenza e sempre lo sarà, e ogni sforzo per provare a cambiare la sua personale esistenza e la sua profonda interiorità non può che risultare, purtroppo, vano e grottesco.
Un regista e una Blanchett in stato di grazia quindi, ma anche perfettamente supportati da un altrettanto ottimo cast: da Sally Hawkins (Ginger, la sorella di Jasmine, che vive modestamente a San Francisco ed è agli antipodi con lei in tutti i sensi) a Peter Sarsgaard e Bobby Cannavale.
Altro punto di forza del film è la sceneggiatura, dalla intelligente struttura narrativa, dura e interessante, pregna di ironia (vedi lo scontro di classe tra la raffinata borghese Jasmine e la sorella, commessa in un supermarket) e di tensione drammatica (conflitti familiari irrisolti e vecchi rancori, sensi di colpa e inadeguatezze), che pur tra momenti didascalici e imperfezioni varie, resta solida e ben riuscita. E soprattutto vivacizzata da riprese eleganti e fluide che circondano gli attori e da una fotografia che illumina con gelido calore ognuno di loro, oltre che ogni atmosfera e ambientazione.
“Blue Jasmine”, la triste Jasmine. Un film difficile da dimenticare. Come difficile è cancellarci dagli occhi e dal cuore la fragilità, la solitudine e l’insoddisfazione della sua protagonista e quel desiderio a sopravvivere con classe e dignità, trasmesse con commovente amarezza dal suo aggraziato sguardo e dai suoi dolci occhi delusi…

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