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Cloud Atlas: la recensione di ale5b

Cloud Atlas: la recensione di ale5b

Ambizioso, rivoluzionario, folle, rischioso. Il parto di un film del genere poteva essere concepito solo da menti aperte quali quelle dei Wachowsky. L’impresa di adattare il romanzo Cloud Atlas (L’atlante delle nuvole) dell’inglese David Mitchell suona come una scommessa difficile da vincere, soprattutto quando si hanno a che fare con 100 milioni di budget. “Parliamone anche con Tom Tykwer” avranno detto, “vediamo cosa salta fuori”. E così tre visionari d’avanguardia si sono seduti allo stesso tavolo, si sono divisi i compiti da buoni professionisti e si sono dati reciproca cieca fiducia. E’ un progetto folle, ripetiamo, un adattamento, un’idea che va calibrata alla perfezione. Ma siamo già passati da Matrix, abbiamo visto cosa è stato, siamo quindi in buone mani.

Spiegare Cloud Atlas è molto difficile. Più facile è dire: “andate a vederlo, guardate con i vostri occhi”. Non sono le scenografie mozzafiato, né la bravura degli attori, né i trucchi di scena maniacali a premettere ad un risultato sbalorditivo. Quello che colpisce è come il film gioca sulla mente degli spettatori, come li attira in un vortice spazio-temporale, costringendoli ad allargare gli orizzonti, a restare concentrati fino alla fine. Siamo adesso prima, poi ora, poi poi. Si corre, si percorre, ci si lascia rapire. Scozia, Inghilterra, mare aperto, metropoli futuristiche, pianeti post-apocalittici. C’è tanto, c’è tutto. Non spaventiamoci.

Si gioca su sei episodi, talmente belli, talmente curati da risultare ognuno indipendente, capaci di reggersi da se. Una trama che nasconde un naturale smarrimento iniziale solamente al fine di ritrovare i fili conduttori mano a mano che le scene ci passano davanti. Siamo davanti ad un film visionario, pretenzioso al punto di sfoderare diversi generi cinematografici tutti in una volta: dramma, fantascienza, commedia, thriller, avventura. Un frullato si, ma dal risultato ben omogeneo. Si toccano temi delicati, dalla reincarnazione alla schiavitù, dai problemi energetici alla guerra ai totalitarismi. Si incontrano compositori omosessuali, giornalisti d’inchiesta, cloni predestinati a cambiare le sorti dell’umanità, editori allo sbaraglio, chi più ne ha più ne metta. Un mix di tutto, dall’apparenza casuale ma dalla profondità certa. Mettersi in gioco, puntare tutto sul nero e lanciare la pallina. Risultato?

Il trio Wachowsky-Tykwer osa e va a segno. Qualitativamente Cloud Atlas è stupendo, splendido da vedere. L’influenza di Matrix risalta più di una volta. Hugo Weaving a parte (attore feticcio dei Wachowsky,Mr Smith lo ha reso noto al pubblico), le scene d’azione di Nuova Seul ricordano molto quelle del capostipite della loro filmografia, così come il tema della materia umana come energia o quello della libertà. Messaggi forti, profondi, Cloud Atlas non è un film per tutti, non è da prendere alla leggera. Il cast gode di ottimi nomi: Tom Hanks, Halle Berry (vero ossigeno per la sua carriera!) ma anche Jim Sturgess, Hugh Grant, Susan Sarandon, oltre al già citato Weaving. Prestazioni superlative, voti alti per tutti e non certo per la mole di lavoro che sono stati costretti ad affrontare dovendosi, ognuno, sdoppiare se non triplicare o, come nel caso di Hanks, farsi in sei! Sfidiamo lo spettatore a riconoscerli tutti, il lavoro di trucco è talmente ben fatto da restare a bocca aperta.

In sintesi, promuoviamo a pieni voti. Il gioco vale la candela. Hanno rischiato investendo tanto in un film che probabilmente non renderà la spesa, ma che importa quando la qualità offerta va a braccetto con un’idea, con un film diverso dal solito? Cloud Atlas merita sicuramente un biglietto, un momento per ripercorrere interiormente alcuni valori fondamentali dell’essere.

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