Cose nostre – Malavita: la recensione di Andrea Facchin

C’è una frase che Robert De Niro ama spesso dire: «Il vero talento di un attore sta nelle scelte che fa». Certamente non basta qualche film sbagliato per metterne in discussione il talento (sempre infinito), ma queste parole risultano quanto meno contraddittorie se si pensa a quanto sia stata altalenante la sua carriera negli ultimi anni. Tra (troppe) scelte professionali discutibili, però, è balenato qualche sprazzo di luce. L’ultimo in ordine di tempo, dopo il padre incompreso di Stanno tutti bene e quello ossessionato dalla scaramanzia di Il lato positivo, Bob ce lo regala in Cose nostre – Malavita, black comedy di Luc Besson in cui il nome dell’attore torna a comparire vicino a quello di Martin Scorsese (qui produttore esecutivo). Nel film, De Niro è Fred Blake, o meglio, l’ex boss mafioso Giovanni Manzoni: dopo aver tradito i suoi vecchi soci, insieme alla moglie Maggie (una Michelle Pfeiffer di bravura e bellezza stordenti) e i figli Warren (John D’Leo) e Belle (Dianna Agron, la star di Glee), viene inserito nel programma di protezione testimoni dell’FBI e spedito in Normandia. Adattarsi, però, non sarà semplice, soprattutto se le vecchie abitudini sono dure a morire e i killer che hai alle calcagna si avvicinano sempre di più.

Il motore della pellicola sta tutto nelle dinamiche famigliari dei protagonisti e nella loro scomoda condizione da straniero in terra straniera. Sebbene i veri trascinatori siano De Niro e Michelle Pfeiffer, la cui complicità sulla schermo è palpabile (da fuoriclasse la scena in cui flirtano sul divano), i due figli non sono solo figure di contorno, ma riescono a trovare il proprio spazio nella storia: lui, Warren, nonostante i 14 anni conosce già bene i trucchi del mestiere e riesce a crearsi un vero e proprio sistema di favori e protezione nel nuovo liceo; lei, Belle, è una femminista convinta, ragazza tosta che sogna il vero amore.
Besson riesce a trovare il giusto equilibrio tra humor nero e atmosfere da gangster movie, alternando in giusta misura risate e scene d’azione che per violenza sembrano uscite dritte dalla saga di Il padrino. Nonostante qualche difetto (la sottotrama dedicata a Belle sembra un po’ troppo fuori contesto) il puzzle è incastrato alla grande, merito di una sceneggiatura che limita le pause di ritmo e usa l’arma delle citazioni con intelligenza: così il Fred Blake di De Niro diventa un personaggio che ha gli scatti d’ira del boss di Terapia e pallottole, e ricorda con nostalgia la sua vita da padrone di Brooklyn in stile Quei bravi ragazzi, titolo che non nominiamo casualmente, poiché salta fuori in una delle scene più divertenti del film, che, giuriamo, vale il prezzo del biglietto.

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Mi piace
Il mix tra commedia e gangster movie, e la performance di Michelle Pfeiffer in versione mafiosa: pura classe.

Non mi piace
Il modo in cui è stato sviluppato il personaggio di Belle, con una sottotrama troppo fine a se stessa.

Consigliato a chi:
Pensa che De Niro ormai viva di rendita, pensando solo al portafoglio.

Voto: 4/5

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