Don Jon: la recensione di Giorgio Viaro

Nuove forme di dipendenza: la necessità di raccontare e raccontarsi si è trasformata nel nostro Grande Fratello. Viviamo circondati, controllati, dalla fiction – anche da quella che creiamo attraverso i social network.  Don Jon, l’esordio alla regia di Joseph Gordon Levitt, sostiene che le forme di interazione virtuale aderiscono perfettamente ai condizionamenti sociali con cui siamo cresciuti, assecondandoli molto più che entrando in conflitto con essi (essendo le storie un prodotto, ognuno può scegliersi le sue). Detto in parole povere: scegliamo di farci raccontare (da internet, televisione, cinema, mercato discografico) il mondo in cui vogliamo vivere. Compriamo quel mondo. Ci viviamo dentro.

Don Jon (Levitt stesso), ad esempio, è cresciuto in una famiglia medio borghese, cattolica e praticante: con il mito del machismo (ogni sera una donna diversa), il rito del pranzo in famiglia, e la consolazione della Confessione cristiana. La somma di queste tre cose è la sua dipendenza dalla pornografia in Rete, palliativo alle increspature – piccole insoddisfazioni – della realtà quotidiana, sessuale e sentimentale. Quando però Jon incontra Barbara (Scarlett Johansson), che sembra uscita da uno di quei video a luci rosse, la teoria va a carte quarantotto: è entrato dentro le sue fantasie. Almeno fino a che i due non “consumano” – la fiction continua infatti a spostare l’orizzonte delle sue aspettative. Ma c’è un problema anche più grande: le storie con cui Jon e Barbara sono arrivati a conoscersi non sono compatibili: le donne vengono da Venere (e amano le commedie romantiche), gli uomini da Marte (e preferiscono l’hardcore).

I conflitti interiori del protagonista occupano due terzi di film, divertentissimi. Poi il racconto tragicomico della sua dipendenza lascia spazio, nell’ultimo atto, a una prevedibile presa di coscienza: la storia trova la sua morale e cala un pochino di brillantezza.
Nota di merito al sound design: il gingle dei Mac che scandisce le porno-sessioni del protagonista è un lampo di genio. Cast azzeccato fino all’ultimo dei caratteristi: Levitt e la Johansson sono perfetti, Tony Danza pure, gli altri al loro posto.

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Mi piace
Film veloce, buffo, ben recitato, con piccoli lampi di genio. E meno scemo di quel che sembra.

Non mi piace
La morale, nell’ultima parte, diventa un pochino invadente.

Consigliato a chi
Vuole scoprire Levitt come autore, in un film che ne valorizza il talento ai due lati della cinepresa.

Voto: 3/5

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