Dunkirk: la recensione di MatteoArfini

Tempo: questa é la parola  chiave del decimo lungometraggio del regista inglese Christopher Nolan. Un tempo narrativo, con la divisione del racconto in tre piani separati ossia il molo (una settimana), il mare (un giorno) e l’aria (un’ora) destinati ad incontrarsi secondo il tipico schema Nolaniano. Un tempo musicale, scandito dal solenne, martellante ticchettio di un orologio e da sinfonie monostrumentali, composte sempre dal grande Hans Zimmer, che segnano l’inesorabile trascorrere delle ore, come un conto alla rovescia che si protrae verso una fine sempre più vicina, verso una disfatta quasi certa. Il tempo infatti è proprio ciò che manca ai 400mila uomini bloccati sulle spiagge di Dunkirk, assediati da un nemico che mai si vede, ma che si fa invece sentire con spari ed esplosioni che paiono provenire direttamente dalle spalle dello spettatore. Nolan costruisce in maniera magistrale il senso di prigionia e claustrofobia percepito dalle forze inglesi e palpabile anche fuori dallo schermo. La regia non sbaglia un colpo, accompagnata dalla fotografia asciutta  e panoramica Di Hoyotema, sia nelle scene in mare e soprattutto nelle riprese aeree, il cui realismo è spettacolarità rimarranno impresse per molto tempo. La pellicola scorre così veloce, cruda, fredda senza che lo spettatore abbia il tempo appunto di conoscere i personaggi, di approfondire la situazione, divenendo un inerme testimone della guerra vera e propria, di spari, bombardamenti, navi che volano a picco e aerei che si schiantato. Ci si sente così proiettati quasi dentro lo schermo, sperimentando la stessa angoscia e lo stesso terrore delle truppe britanniche. Non esistono vincitori né vinti, ma solo sopravvissuti, questo é il messaggio che traspare alla fine del film, perché Dunkirk non parla di una vittoria, ma di una ritirata riuscita, di uno spirito di sopravvivenza che pervade sotto sotto ogni prodotto di Nolan, dove ciò che effettivamente sopravvive sopra ogni cosa è la speranza e la volontà di continuare a lottare, perché la guerra non è ancora finita. Un film dunque  realisticamente spietato, privo di un apparente impianto emotivo, anche se il sentimento pulsa dai fatti stessi che ci vengono presentati. Ciò che risulta é quindi come molti lo hanno già definito un film puro, e un’imperdibile esperienza cinematografica.

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