Fast & Furious 7: la recensione di Andrea Facchin

Era il 2001 quando le strade di Brian O’Conner e Dominic Toretto si incrociarono per la prima volta, dando inizio alla lunga corsa di Fast & Furious. Un successo così prolungato nel tempo di una saga che non sia horror e non si chiami Star Wars o Bond non è per nulla scontato a Hollywood. E infatti dietro alla fortuna di F&F di scontato c’è ben poco: parliamo di un franchise action che ha saputo migliorare invecchiando – salvo alcuni (mezzi) passi falsi come Tokyo Drift, il terzo capitolo, più uno spin-off che altro -, allontanandosi man mano dal contesto delle corse clandestine per concentrarsi sullo sviluppo della storyline dei personaggi. Che ha portato a questo settimo episodio, perfetta sintesi del pop corn movie: ipermuscolare, adrenalinico, divertente e dal ritmo forsennato.

Vendetta e famiglia sono le colonne portanti della storia, che si regge sullo scontro tra la squadra di Toretto e Deckard Shaw, fratello di Owen, il cattivo del sesto film. È un intrattenimento “ignorante” ed esagerato sin dall’incipit, con l’entrata in scena di Jason Statham che fa fuori da solo un’intera squadra di guardie armate. Il villain dell’attore inglese è quasi una caricatura dei ruoli da duro in cui ha incasellato la sua carriera, ma il duello con due colossi come Vin Diesel e The Rock crea uno scontro tra Titani irresistibile. La grandezza del film – e dell’intera saga – sta nella furbizia di giocare con i tanti luoghi comuni che caratterizzano dialoghi e tipologie di personaggi: ognuno ha la sua battuta a effetto che sfodera al momento giusto, il resto lo fanno i folli inseguimenti tra macchine e droni per le strade di Los Angeles e i salti da un palazzo all’altro di Abu Dhabi con una delle vetture più costose mai utilizzate nel franchise (una Lykan Hypersport da tre milioni e 500 mila dollari). Il vero difetto, soprattutto in termini di scrittura, è la sottotrama che coinvolge un dispositivo informatico chiamato Occhio di Dio, in grado di rintracciare tutto e tutti in qualsiasi parte del globo, trovata che appare un gratuito pretesto per denunciare l’incubo tecnologico di oggi, che cancella ogni forma di privacy (per un approfondimento sul tema, consigliamo il documentario Citizenfour).

James Wan, tra le grandi incognite della vigilia, dirige con sorprendente naturalezza, quasi fosse un veterano del genere: eccezion fatta per uno dei suoi film d’esordio, il crudo revenge movie Death Sentence, il regista si è formato nell’horror, ma in Furious 7 dimostra ottime capacità di adattamento ed eclettismo: per la cifra stilistica e il livello di spettacolo del film, overdose di esplosioni e belle donne, Wan sembra essere andato a scuola da Michael Bay (le analogie visive e sonore con Transformers non sono poche). Il tocco personale, comunque, non manca, sottolineato da alcuni virtuosismi tecnici quali i repentini cambiamenti di prospettiva durante i combattimenti corpo a corpo (che a tratti ricordano quelli della saga di The Raid di Gareth Evans), assoluta novità rispetto ai film precedenti.

La sensazione è che F&F 7 sia nato come il film più estremo del franchise, con l’obiettivo di lasciare nelle orecchie lo stridìo delle derapate sull’asfalto. La tragica morte di Paul Walker ha inevitabilmente rimescolato il mazzo di carte, da cui ha preso forma l’episodio più emotivo e intimo della saga, ricco di meta-citazioni, che raggiunge il punto più alto nel commovente omaggio finale all’attore scomparso, elegante e per nulla forzato dal punto di vista narrativo. Se Vin Diesel, che è anche produttore, decidesse di chiuderla qui, nessuno griderebbe allo scandalo, perché Fast 7 è la chiusura perfetta di una corsa lunga quattordici anni, vissuta “a un quarto di miglio alla volta”.

«Salute alla Famiglia».

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Mi piace:
Azione e divertimento: Fast & Furious al meglio. E l’omaggio a Paul Walker ti spezza il cuore.

Non mi piace:
La sottotrama sull’Occhio di Dio è superflua: bastava e avanzava la partita Statham contro tutti.

Consigliato a chi:
A chi cerca adrenalina per famiglie.

Voto: 4/5

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