Ferro: bullismo, alcolismo e il difficile coming out. Tiziano a cuore aperto nel doc di Amazon. La recensione

Il cantautore di Latina ripercorre i suoi primi 40 anni, raccontando di come è uscito dall'alcolismo e della difficoltà di fare coming out nell'industria musicale italiana. Un autoritratto sofferto e commovente

Ferro, su Amazon Prime Video. La recensione
PANORAMICA
Regia (3.5)
Soggetto e scrittura (3)
Fotografia (3)
Montaggio (3)
Colonna sonora (3.5)

A differenza di Mi chiamo Francesco Totti (qui la recensione), con cui condivide l’approccio autobiografico, Ferro – il documentario di Amazon Prime Video dedicato al cantautore di Latina – non ha grandi qualità cinematografiche, non dispone di una narrazione ad ampio respiro e non pretende di essere un viaggio a termine (forse per questo sulla piattaforma di Bezos il film è indicato come puntata 1 di una ipotetica stagione 1). D’altra parte il film sull’ex capitano della Roma rappresenta in qualche modo l’elaborazione di un lutto, i grandi calciatori sono una genìa molto particolare di artisti perché hanno una carriera che termina precocemente, posano il pennello molto prima di morire. Questo conferisce all’opera di Infascelli una natura celebrativa e al contempo luttuosa, che è la sua forza.

In Ferro quello che si celebra è invece una rinascita dopo un periodo di grande crisi, dentro però a una carriera che è in piena evoluzione: il film più che un diario è una confessione al giro di boa dei quarant’anni. Il cantautore affronta tre fasi della sua vita come le tappe di una via crucis privata: il bullismo subito da adolescente, quando era un ragazzino timido e sovrappeso; le pressioni subite dall’industria discografica prima per cambiare il suo aspetto fisico e poi per nascondere la sua omosessualità; la depressione e l’alcolismo.

Girato tra Milano e Los Angeles, dove Tiziano Ferro vive da ormai qualche anno assieme al marito Victor – sposato nell’estate 2019 -, il documentario usa sempre la memoria del personaggio pubblico come controcampo del personaggio privato, che mostra attraverso foto e video d’epoca, i filmini del doppio matrimonio (negli Usa e in Italia), scene di vita domestica (fenomenale la comparsata a cena di Brigitte Nielsen, prima dell’ultimo Sanremo) e alcuni momenti del gruppo di sostegno per alcolisti di cui fa parte.

Il ritratto che emerge è quello di un uomo fragile ma provvisoriamente risolto, in virtù dei luoghi che ha scelto (Los Angeles con il suo imbattibile anonimato, che gli consente di fare la spesa o due passi per il quartiere) e dei demoni che ha combattuto. Tutto il film è in effetti un lungo coming out che racconta di tanti coming out differenti, proponendosi come un’ipotesi di salvataggio per chi ha affrontato o sta affrontando gli stessi problemi di identità e dipendenza.

Ma alla fine, al di là dell’empatia che un’uscita così personale e in un certo senso “scomposta” suscita (è veramente dura non commuoversi), non va dimenticato l’aspetto creativo. Le canzoni di Ferro hanno una costruzione del testo e della musica uniche e perfettamente riconoscibili, e il disvelamento della loro natura sotterranea, aggiunge, traccia su traccia, chiavi di lettura e ipotesi di senso, nonostante del lavoro del cantante in senso stretto si parli pochissimo.

Infine, tornando a Totti: quel che lega i due personaggi è proprio una certa teoria del sangue, una affezione assoluta e molto conservatrice per la dimensione domestica e familiare, per i luoghi delle origini, per un baricentro sentimentale permanente. E in entrambi i documentari è su questo punto, più che su ogni altro, che la dimensione autobiografica ritorna universale, cullandoci tra le memorie del passato.

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