Game of The Year: il mondo dei videogiochi italiano in scena al Biografilm Festival. La recensione

L'opera seconda di Alessandro Redaelli documenta uno spaccato di vita di game designer e streamer italiani

game of the year alessandro redaelli
PANORAMICA
Regia (2.5)
Sceneggiatura (2.5)
Montaggio (2)
Direzione della fotografia (3)
Colonna Sonora (3)

Il Biografilm Festival – International Celebration of Lives 2021 sta entrando nel vivo. Dal 4 al 14 giugno sono tantissimi i titoli di storie contemporanee che testimoniano i cambiamenti sociali, politici e ambientali in corso, divisi su tre categorie: Biografilm, Contemporary Lives e Concorso Internazionale (QUI i 10 titoli da non perdere). 

Nel primo lotto c’è anche l’opera seconda di Alessandro Redaelli, già autore di Funeralopolis, ritratto dell’underground milanese. Questa volta, il regista racconta un altro spaccato tutto italiano: quello di sviluppatori, giocatori professionisti e content creators del mondo dei videogame in Italia. Game of the Year vuole raccontare, tramite alcuni protagonisti più o meno affermati, la vita di professionisti ed enfant prodige di quella che ormai è a tutti gli effetti considerata forma d’arte. 

Col passare dei decenni e delle generazioni, il mondo dei videogiochi sta crescendo sempre più anche a livello storico-culturale. Lo testimonia anche l’interesse che una piattaforma come Netflix ha riservato alla serie High Score, che con altri valori produttivi ha raccontato gli snodi fondamentali del medium videoludico nei decenni. La lente di Redaelli è più focalizzata sulla scena italiana e la sua gamma di personaggi è varia: ci sono i game designer ormai sulla soglia dei 40 anni e in attesa della svolta, c’è l’enfant prodige che trionfa nei tornei internazionali con grossi premi in denaro (Reynor) e c’è anche spazio per veri e propri pezzi da novanta dello streaming videoludico italiano – come Sabaku, Attrix e CiaoMia.

Tra i punti di interesse di Game of the Year c’è proprio l’ampio spettro con cui si vuole raccontare questo mondo: riguarda i videogiochi, ma anche e soprattutto le vite di coloro che ci campano o vorrebbero farlo. L’intro del documentario, con una musica e dei titoli di testa che strizzano l’occhio a film in costume, sembra introdurci proprio in una corte, in una sfera sociale a parte. Fatta di Re che incassano 24.000 euro per 96 ore di video e di chi invece deve dividersi tra vari lavori per poter continuare a portare avanti la sua passione, tra sogni e rimpianti.

Una volta dentro, però, Game of the Year non accompagna sempre per mano lo spettatore: o si conosce già il background di riferimento oppure alcuni aspetti del film risultano ostici e a tratti incomprensibili; non solo i personaggi stessi e il loro peso all’interno dell’ambiente, ma anche i tanti termini tecnici che, senza contesto, fanno più che altro colore. Qualche momento informativo in più avrebbe forse tenuto ancorati meglio al racconto, che invece si limita ad accarezzare le vite dei protagonisti, una presenza discreta in un angolo.

Per dirla con un’analogia in tema: Game of the Year ha le potenzialità e le ambizioni di un gioco open world vasto di avventure e ricco di personaggi, ma invece di seguire l’interessante trama principale che si è scelto, si limita a vagare un po’ qua e là, tra missioni secondarie non sempre interessanti, passando ora da giocatori di livello 1 in pieno tutorial ad altri al 99 con tutti le abilità e gli equipaggiamenti potenziati al meglio.

Foto: Biografilm 

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