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Il giustiziere della notte

Bruce Willis vendicatore duro a morire nel remake firmato da Eli Roth del film con Charles Bronson del 1974

Il giustiziere della notte

Bruce Willis vendicatore duro a morire nel remake firmato da Eli Roth del film con Charles Bronson del 1974

Paul Kersey (Bruce Willis), medico che si è sempre dedicato a salvare vite, vede la sua esistenza andare in frantumi dopo che una manciata di balordi, in un’irruzione a casa sua, ha colpito a morte sua moglie e spedito in coma sua figlia. L’uomo si procura un’arma, abbandona le sue vesti da chirurgo pacifico e illuminato e si abbandona al fuoco sacro della vendetta, che lo porterà a diventare un giustiziere freddo e calcolatore, pronto a colpire chi ha distrutto la sua famiglia ma anche a imporre una giustizia tutta sua sul suolo urbano di Chicago.

A quattro decenni di distanza dal film di Michael Winner con Charles Bronson, alla base poi di un lungo filone, Eli Roth, compagno di merende storico di Quentin Tarantino, riporta al cinema la vicenda, emblematica e integralmente americana, di un uomo pacifico (non più un architetto, ma un medico) divenuto killer e vendicatore per caso. Il film originale, nella società del tempo, ebbe un valore a dir poco paradigmatico e indusse l’opinione pubblica a discutere sul legame tra violenza cittadina e quotidianità, sul confine labile tra vittime e carnefici, sul paradosso di un abitante qualunque, perfino colto e istruito, che si ritrova ad imbracciare un’arma laddove la presa delle istituzioni e dei corpi di polizia è percepita, un po’ come accade oggi, come labile e intangibile.

Anche all’epoca la critica aveva tuonato, ritenendo il messaggio del film ambiguo nonché un pericoloso inno, ancor più letale perché travestito da innocuo film di genere, al vigilantismo e ai salvacondotti facili e immediati della giustizia sommaria. Il film di Eli Roth, dal canto suo, riduce al minimo ogni implicazione sociologica e critica anche rispetto al romanzo originale di Brian Garfield, gioca di rimessa e sul sicuro, si affida all’ironia che tutto stempera: non potrebbe dopotutto fare diversamente, perché a giocare col fuoco (delle armi), nell’America di oggi, il rischio è quello di scottarsi (i giorni in cui è uscito il film sono pur sempre quelli in cui ci si leccano le ferite dell’ennesima strage liceale, quella della Stoneman Douglas di Parkland).

A Eli Roth non mancano certo il gusto sfrontato per l’eccesso e l’irrequieta sfrontatezza (dopotutto è il regista di Hostel), ma il film, in questo casoo, è tutto nella rigidità gelida e impassibile delle rughe di Bruce Willis, eroe action riluttante all’estinzione e, naturalmente, duro a morire: l’impassibilità della sua maschera, ormai autoironica per ovvie ragioni anagrafiche e in virtù della sua spassionata resistenza al tempo che passa, dice molto dell’innocua assenza di pretese di Roth, del suo divertimento action tutto postmoderno e tutto alimentare, che non a caso si chiude con una citazione letterale dell’originale nell’ultima inquadratura (la strizzata d’occhio più vistosa, tra le tante). 

La sceneggiatura attualizzante di Joe Carnahan (dal western suburbano di allora all’America odierna, dalla subway newyorkese di un tempo alla Chicago di oggi, disseminata di esplosioni di violenza tra le strade) è l’ossatura di un racconto più familiare nella prima parte e più sporco e vispo nella seconda: l’exploitation del film originale qui diventa torture porn fumettistico, con delle esplosioni di violenza grafica che sono il segno distintivo della griffe del regista, la sua sorniona firma in calce.

Ben più degli split screen, del prologo elettrico, del discorso appena accennato sui nuovi media e sulla loro istantaneità vacua e immediata. In fondo, come dice Leonardo Gandini nel suo volume Voglio vedere il sangue, checché se ne dica la violenza al cinema non è e non può essere mai gratuita e l’ostentazione smaliziata con cui il regista la ripropone qui, in un contesto apparentemente avulso, ne è l’ennesima conferma.

Mi piace: l’ironia e la leggerezza spassionata, che danno al film il tono del divertissement 

Non mi piace: la frattura un po’ troppo repentina tra la prima e la seconda parte del film, a livello di ritmo e di tono

Consigliato a: i fan di Bruce Willis, che vi ritroveranno appieno la sua maschera, e dell’action solo leggermente venato di pulp

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