La fantascienza moderna aspettava da tempo uno slancio realista e sofisticato. Se con il bellissimo Moon di Duncan Jones questo passo si era in parte compiuto, portando in scena un film dove, esulando il tema clonazione, tutto sembrava reale e tecnicamente impeccabile, con Gravity, la nuova fatica di Alfonso Cuaron, si è finalmente raggiunto un nuovo traguardo: innovare un genere ormai troppo legato all’azione per ritornare ai fasti di una fantascienza classica attraverso nuove tecnologie.
In sostanza, Gravity è un 2001: Odissea nello spazio dei nostri giorni, ma senza un piglio onirico e indagatore di significati profondi. Oppure si, solo che il significato di tale indagine, pur volendo emergere in primo piano, cade inevitabilmente preda sia della grandiosa messa in scena, sia di una morale cristiana di fondo perdonabile ma a tratti stancante. La ricerca della sostanza in uno spettacolo, un’esperienza unica, contemplativa ed immensa come quella di Gravity, è in parte giustificata dalla ricerca di un rapporto umano che altrimenti non sarebbe stato presente. Vita, morte, aldilà e rinascita, infatti, sono effettivamente più uno sfondo dialogico all’intera opera, anziché fulcro principale dell’ambientazione e di una riflessione profonda da parte dello spettatore. Riflessione che poi, in un modo o nell’altro, sarà compiuta, ma sarà comunque
vessata dallo spettacolo visivo al quale si è assistito. Uno spettacolo che riesce ad affascinare ed entusiasmare, angosciare e coinvolgere per la sua intera durata, continuativo e coerente dalla magistrale apertura alla significativa chiusura.
Su di un piano prettamente tecnico, invece, Gravity è quanto di più perfetto si sia visto da anni a questa parte, iniziando dalla regia di Cuaron, vera anima del film. Il regista mostra ancora una volta il suo amore sconfinato per i piani sequenza, questa volta elevando la stessa tecnica cinematografia a vera e propria opera d’arte, funzionale e necessaria alla realizzazione di una delle esperienze filmiche più intense di sempre. Il montaggio è davvero infinitesimale, e la telecamera gira vorticosamente da una parte all’altra come se fosse a volte i nostri occhi e a volte quelli della Bullock, compiendo esercizi di stile davvero sorprendenti, che spaziano (per rimanere in tema) da una grafica in prima persona che rende il tutto più introspettivo e sofisticato, fino ad un finalmente sapiente uso della tecnologia stereoscopica, che riesce ad elevare, ad esempio, una lacrima a protagonista indiscussa di una scena.
Oltre alla regia e ad un 3D eccezionali, una menzione speciale spetta anche ad una colonna sonora che nel silenzio dello spazio riesce a far vibrare, in chi guarda, diverse corde emotive. Si potrebbe dire che è così “presente” da essere protagonista quanto Clooney e la Bullock, entrambi bravissimi nei loro ruoli, in particolare lei, che nella seconda parte del film ha più presenza scenica e dirada in parte la nube di dubbi sulla sua discutibile scelta come protagonista.
La fantascienza aspettava da tempo una slancio realistico e sofisticato, che con Gravity si è pienamente compiuto. Un film che è riuscito a sancire un nuovo inizio per questo genere, pur donandogli continuità e trasmettendo amore per i classici.
Un evento più unico che raro.
Voto: 9
Luca Ceccotti
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