Guardiani della Galassia Vol. 2

Il secondo capitolo della saga dedicata alle avventure interspaziali di Peter Quill, Rocket, Gamora e Drax è irresistibile, spassoso e pirotecnico

Ambientato pochi mesi dopo gli eventi del primo film, il sequel dei Guardiani della Galassia si incentra sul mistero delle origini di Peter Quill (Chris Pratt), alias Star-Lord, la cui “genealogia poco ortodossa” e completamente avvolta nel mistero (“so solo che mio padre non è del Missouri”) finirà per coinvolgere l’intera squadra, ancora composta dal procione armato Rocket (la voce, nella versione originale, è di Bradley Cooper), Gamora (Zoë Saldaña) e Drax, il Distruttore (Dave Bautista), ai quali si va ad aggiungere, ovviamente, l’albero antropomorfo Groot (doppiato da Vin Diesel) in versione baby. Il gruppo si ritroverà ancora una volta in ballo per difendere le sorti della galassia, tra vecchi nemici e nuovi, sorprendenti personaggi…

Lo spavaldo occhiolino del procione Rocket, sboccato e irresistibile, è lo stesso che il regista James Gunn torna a rivolgere agli spettatori in questo secondo volume del superhero movie più sfrontato, irriverente e sorprendente degli ultimi anni: un ibrido al fulmicotone di azione e ironia, immaginario Marvel e sua parodica rivisitazione, rigorosamente sfrenata e ludica, che conferma al mille per mille gli ingredienti alla base del primo capitolo e li rilancia con ghignante scrupolosità e senso dello spettacolo.

Forte di un 3D funzionale fin dal prologo, con una battaglia assai d’impatto ai danni di un temibile “scimmione marino” e dei titoli di testa tutti da ridere con protagonista l’immancabile Groot, questo sequel è la lampante conferma del talento sregolato e fortunatamente mai serioso di Gunn, vero e proprio funambolo del cinema a grosso budget contemporaneo, attento al suo pubblico e letteralmente inebriato dalla voglia di stupirlo a ripetizione, e dell’appeal ormai conclamato, a più livelli e su scala planetaria, del cinecomic per adulti.

Che si parli della volgarità senza peli sulla lingua di Deadpool o dell’apocalisse antropologica e del logorante collasso di ogni speranza nell’ultimo Logan di James Mangold, anni luce avanti rispetto ai fumetti originali per sintonizzarsi sul presente, questo cortocircuito maturo o perlomeno anagraficamente spiazzante sembra riscuotere un successo travolgente che il Vol. 2 delle avventure dei Guardiani non tarderà a confermare. Si empatizza, ci si riconosce trasversalmente, si fa saltare il banco del buonismo e del ritorno ad ogni costo alla fanciullezza, scendendo a patti con le proprie zone d’ombra non importa se in maniera, a seconda dei casi, cupissima o fracassona.

Un meccanismo di identificazione a largo raggio che in Guardiani della Galassia Vol. 2, tratto dai fumetti di Dan Abnett e Andy Lanning, è ancora una volta una questione di immaginario, di catalogo pop, di adesione senza limiti a un sentimento del tempo a misura di walkman e di soundtrack vintage meravigliosamente ripescate dall’oblio. Per non parlare del recupero onnivoro della fantascienza, da quella camp e retrò degli anni ’60 e ’70 a quello sgargiante, meno sotterraneo e fin troppo ovvio dello Star Wars di George Lucas, rispetto al quale la strizzata d’occhio è sempre dietro l’angolo e il misto di avventura e umorismo altrettanto puntuale, ricalcando la dimensione da buddy movie del rapporto tra Han Solo e Chewbecca e riproponendola in versione fumettistica e al vetriolo attraverso Rocket e Groot.

Il tutto con un lessico da scaricatori di porto e una tendenza al tratto caricaturale capace di lavorare puntualmente sull’enfasi salace, nella quale, a differenza del bellissimo e pirotecnico finale sulle note di Father & Son di Cat Stevens, non c’è quasi mai “una specie di non detto” a viaggiare per aria, ma solo la spudoratezza accorata e il cuore sconfinato di un cinema popolare e provocatorio, intelligente e perfino sentimentale. Capace perfino di parlare di famiglia, e dunque di padri e di figli, con la genuinità tagliente e rivelatrice che l’atteggiamento di chi si prende più sul serio non potrebbe di certo consentire.

Quella di James Gunn è una mirabolante epica contemporanea incentrata su quanto di più odierno ci sia: la dittatura della nostalgia come parametro per rapportarsi non solo al tempo che passa, ma anche alla continua ridefinizione e riedizione della propria identità individuale attraverso gli anni e perfino i decenni. Tale ambizione trova riscontro nuovamente in questo nuovo episodio, più lungo di più di venti minuti e perfino più denso del suo predecessore per stimoli e trovate: dalla presa in giro dell’icona dell’horror Leatherface alla minaccia spaziale rappresentata come un videogame seriale passando per i capisaldi anni ’80 (il videogioco Pacman e la serie tv Cin Cin) e le apparizioni di Kurt Russell, in un ruolo a conti fatti decisivo, e Sylvester Stallone.

Per non parlare del vero valore aggiunto, la colonna sonora: in Awesome Mix Vol. II, che proverà a bissare l’incredibile successo della playlist del film precedente, trovano infatti posto i Fleetwood Mac, Jay and the Americans, il già citato Cat Stevens, Looking Glass, George Harrison, con l’ovvia My Sweet Lord, e Sam Cooke (definito allegramente “il più grande cantante terrestre”). Irresistibile la presa in giro del sempiterno David Hasselhoff, protagonista anche di un featuring con i The Sneepers nel brano Guardians Inferno e solito imperdibile cameo di Stan Lee. Senza contare le ben cinque scene extra sui titoli di coda, apice di un divertimento talmente sincero e privo di barriere da dar l’idea di poter andare avanti all’infinito… aspettando il terzo capitolo.

Mi piace: la sfrenata consapevolezza ludica dello spettacolo orchestrato da James Gunn, sospeso tra nostalgia, avventura e ironia sboccata

Non mi piace: qualche perdonabile lungaggine insita nel minutaggio più ampio

Consigliato a: i fan del primo capitolo e del cinecomic per adulti

Voto: 4/5

© RIPRODUZIONE RISERVATA