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Hunger Games: la recensione di Barnabas

Hunger Games: la recensione di Barnabas

Futuro.
La bomba ha portato via tutto.
Dalle ceneri di quelli che un tempo erano gli Stati Uniti d‘America e‘ sorta una nazione, Panem.
Ognuno dei dodici distretti da cui essa e‘ costituita e‘ chiamato ogni anno a sacrificare due giovani abitanti.
L‘evento mediatico principale e‘ un gioco diabolico e mortale volto ad espiare un‘antica colpa.
Persino il Sole sembra faccia fatica a sorgere su di un mondo che ormai ha sempre meno da offrire.
Tuttavia, il barlume della speranza non si e‘ ancora spento…

Quando si scrive di un prodotto cinematografico come ‘The Hunger Games‘, non si può‘ non intingere la penna nel calamaio del‘inquietudine. Il nuovo film della Lionsgate, diretto da Gary Ross, si potrebbe infatti paragonare ad un affresco in cui i toni dolci e pacati della gioventù si fondono cruentemente con quelli duri e crudi della morte. Un sapiente uso dei colori, dei suoni e delle inquadrature riesce ad appesantire l‘animo dello spettatore, catapultandolo all‘interno di un contesto esistenziale in cui timore e malinconia regnano sovrani. Impossibile non notare, ad esempio, come la prevalenza di colori freddi (che riescono a spegnere anche quelli più vivaci) infonda nello spettatore un generale senso di malessere, malessere che lo accompagna poi per tutta la durata della pellicola. Detto questo, possiamo constatare che le atmosfere cupe del libro son state fedelmente ed efficacemente tradotte dal linguaggio letterario a quello cinematografico. Il film riesce, dunque, nel suo tentativo di tratteggiare una realtà adulta, una realtà‘ che non ha spazio per i sogni e la fantasia tipici dell‘infanzia e dell‘adolescenza.

Così‘ come fece il geniale Hitchcock nel suo capolavoro Vertigo (come dimenticare l‘effetto ‘vertigine‘ dato dalla telecamera che indietreggiava e allo stesso tempo zoommava?), anche Gary Ross fa della telecamera sua fedele alleata nel tentativo di tradurre in termini cinematografici le forti emozioni vissute dai protagonisti del film. Spesso infatti, quando il ritmo dell‘azione si fa particolarmente concitato, i movimenti di telecamera ed i cambi di inquadratura diventano così‘ veloci e repentini che il cervello fa quasi fatica ad elaborare le immagini proiettate sul grande schermo, generando così nello spettatore forti stati d‘ansia. A prova di ciò posso dire che, quando il primo Maggio andai a vedere il film al cinema, non era raro sentire tra il pubblico qualcuno che diceva ‘Oddio, che ansia!‘ oppure ‘Mi sento male!‘: segno, questo, dell‘efficacia del film nell‘iniettare nell‘animo dello spettatore le stesse emozioni vissute dai personaggi. Cos‘altro proverebbero, infatti, dei poveri ragazzi costretti ad uccidersi l‘un l‘altro se non paura, ansia e malessere?

Penso anche sia lecito spendere due parole in merito alla violenza presente nel film. Una violenza che, contrariamente a quanto accade in molte produzioni cinematografiche odierne, non e‘ ridotta a mero strumento di spettacolarizzazione, ma che e‘ invece volta a creare un disturbo psicologico nello spettatore, un disturbo che possa spingerlo di conseguenza ad evitare e a detestare la violenza stessa. Cosi‘ come accadeva nell‘antica tragedia greca, in cui al pubblico venivano mostrate in chiave teatrale le tristi conseguenze della guerra, con The Hunger Games lo spettatore e‘ chiamato a riflettere sui risvolti negativi della violenza. Alla violenza si contrappone infatti l‘umanita‘ della protagonista, Katniss, unico grande barlume di speranza. Come dimenticare la poetica immagine di Katniss che stringe tra le braccia una bambina morente, mentre gli occhi di quest‘ultima pian piano si chiudono? Questo, a mio parere, il piu‘ grande messaggio lanciato dal film: che ragione d‘esistere ha un mondo in cui anche ai bambini e‘ negata la bellezza della vita? Non bisogna mai perdere il buonsenso, anche quando il mondo sembra avvicinarsi alla sua fine.

La protagonista Jennifer Lawrence fornisce un ritratto tanto fedele alla Katniss letteraria quanto convincente e credibile. La sua determinazione nel porre la parola fine a questi giochi di violenza traspare da ogni sua parola, e‘ riconoscibile in ogni suo gesto. Incredibilmente degna di lode e‘ a mio parere l‘interpretazione di Josh Hutcherson, che ritrae un Peeta col volto spento, un Peeta su cui grava il peso della rassegnazione nei confronti di una societa‘ tiranna e persino nei confronti di sua madre che non crede minimamente nelle capacita‘ del proprio figlio. Di indiscutibile bravura anche Stanley Tucci, nei panni di un presentatore televisivo capace ma annichilito dai gusti mediatici di una societa‘ malata e disumana. Si puo‘ in questo senso identificare una natura quasi Orwelliana nel dipinto di un mondo in cui il buonsenso e‘ soffocato dalla tecnologia e dal divertimento mediatico. Ultima lode va a Donald Sutherland, i cui occhi glaciali bastano a tratteggiare un presidente dall‘animo complesso.

Ultimo aspetto da considerare e‘ quello musicale. La direzione delle musiche e‘ affidata a James Newton Howard che firma uno Score indubbiamente all‘altezza del prodotto cinematografico ma che non segna forse uno dei suoi lavori migliori. Di certo la profondita‘ delle musiche di Howard si lega perfettamente ad un contesto in cui dei giovani sono chiamati ad affrontare la morte, del tutto privati dei loro sogni fanciulleschi.

In conclusione, The Hunger Games segna una parentesi complessa ed articolata nella storia del cinema. Si presenta come un affresco drammatico in cui vari elementi cooperano al fine di presentare allo spettatore un prodotto valido e convincente. Forte di interpretazioni convincenti, di un‘atmosfera disturbante senza pari e di una direzione sapiente ed intelligente, sara‘ ricordato come un prezioso scrigno di emozioni da tramandare alle generazioni future. Non ci resta che aspettare il sequel…

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