Atteso, pubblicizzato, agognato. Finalmente Hunger Games di Gary Ross approda nelle sale italiane il primo maggio. Adattamento dell’omonimo romanzo di Suzanne Collins, che ne ha scritto anche la sceneggiatura, il film rispetta le promesse ai fans pur riuscendo a non renderlo proibitivo per coloro che non hanno letto i libri.
Ma relegarlo al ruolo di erede di saghe teen come “Twilight” è riduttivo e ingiusto. Perché sarà anche vero che i destinatari principali sono gli adolescenti, ma le tematiche trattate lo rendono adatto ad un pubblico molto più vasto ed eterogeneo.
La storia è nota: in un futuro distopico la civiltà ha ricostruito se stessa nello stato di Panem, guidato dal dittatoriale Presidente Snow, diviso in una Capitale e dodici distretti sudditi con specifiche funzioni (fornitura di beni di consumo, energia elettrica, carbone, etc…). Dopo un tentativo di ribellione sedato nella guerra, fu stabilito che ogni anno i dodici distretti avrebbero fornito un ragazzo e una ragazza tra i 12 e i 18 anni da offrire come tributo per gli “Hunger Games”, i giochi della fame, un reality show nel quale si sarebbero uccisi a vicenda fino alla proclamazione di un unico glorioso vincitore.
E’ qui che inizia la storia narrata nel libro e nel film, all’alba della “mietitura”, la selezione per i giochi, dei settantaquattresimi Hunger Games.
Protagonista è Katniss Everdeen del remoto e poverissimo distretto 12, interpretata dalla splendida Jennifer Lawrence, che si offre volontaria al posto della sorellina Prim. Insieme a lei viene estratto Peeta Mellark, interpretato da un convincente Josh Hutcherson.
I due giovani vengono quindi catapultati in questo gioco al massacro, con la sola guida di un mentore alcolizzato, Haymitch interpretato da uno stupefacente Woody Harrelson e il supporto discreto ma determinante dello stilista Cinna/ Lenny Kravitz.
Hunger Games è quindi una metafora, nemmeno troppo velata, del mondo e della politica attuale.
Capitol City, abitata dai personaggi eccentrici, schiavi delle apparenze e del tutto ignari del mondo esterno cullati da un governo che regala intrattenimento estremo per esercitare la propria propaganda, è ancora più inquietante resa così eccentrica, ma al tempo stesso plausibile e vicina a noi, sul grande schermo.
E quindi che fare? Chiudere gli occhi e arrendersi alla finta pace, oppure alzare la testa e combattere?
Sarebbe stato fin troppo facile per il regista crogiolarsi in un sanguinario film violento, invece il grande merito si Gary Ross è stato quello di far arrivare al pubblico tutta la crudeltà dei Giochi, tutta l’insana follia dietro la logica spettacolarizzante di Capitol City, pur senza puntarci tutta l’attenzione.
La storia viene ben sviluppata e approfondita, grazie ai flashback veloci che non distolgono però l’attenzione dal filo della narrazione.
Scenografie azzeccate e ben curate, che rendono vicina alla nostra vita l’ambientazione futuristica.
Infine un cast davvero azzeccato: Jennifer Lawrence è una Katniss perfetta, distrutta da una vita di sacrifici e spietata nel perseguire i suoi obiettivi; Josh Hutcherson è Peeta, il ragazzo che prova che il mondo non ti può abbruttire se tu non glielo permetti.
Poi i personaggi che ruotano intorno ai protagonisti, oltre ai già citati Woody Harrelson e Lenny Kravitz, Elizabeth Banks che interpreta Effie, responsabile dei tributi del distretto 12, figlia della Capitale e innocentemente cieca di fronte alla sua crudeltà, il presidente Snow interpretato da un gelido Donald Sutherland, prodotto di tutta la politica dittatoriale attuale; e infine anche il maestro di cerimonie dei giochi, il volto usato dal Capitol per umanizzare e spettacolarizzare la crudeltà degli Hinger Games, Ceasar/Stanley Tucci, semplicemente perfetto nel ruolo.
Il film è quindi godibile per fans e non, ragazzi e ragazze, giovani e adulti. Un film che colpisce perché è molto più vicino a noi di quanto ci si aspetterebbe.
© RIPRODUZIONE RISERVATA