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Hunger Games: la recensione di pind

Hunger Games: la recensione di pind

Vincere significa fama e ricchezza. Perdere significa morte certa.
È questa la premessa agli Hunger Games, titolo della pellicola tratta dal primo libro della saga scritta da Suzanne Collins. Questi ‘Giochi della Fame’ imposti dal governo dittatoriale di Capitol City ai suoi 12 Distretti in seguito ai Giorni Bui e presentati come un evento televisivo annuale nel quale 24 tributi vengono scelti, preparati e portati in un’arena per combattere fino alla morte, in realtà non sono altro che un modo per ricordare ai cittadini di Panem che sono alla mercé di Capitol City e quante poche possibilità abbiano di sopravvivere a un’altra ribellione. Uccidere o morire sembra essere l’unica regola degli Hunger Games, in cui uno solo uscirà vincitore: il più forte, ma anche colui che saprà conquistare il pubblico e gli sponsor. Katniss Everdeen (Distretto 12), dopo essersi offerta al posto di sua sorella Prim durante la Mietitura, verrà catapultata − insieme a Peeta Mellark, da sempre segretamente innamorato di lei − all’interno di questo “reality” dove cercherà di sopravvivere grazie alle sue capacità di cacciatrice.
Indiscussa la bravura e il talento della protagonista Jennifer Lawrence, che amo e venero da Un Gelido Inverno (per cui ottenne la nomination agli Oscar come Miglior Attrice Protagonista a soli 20 anni). Incredibile come non abbia bisogno di una voce fuori campo − come pensavo avrebbero fatto − per esprimere i pensieri e le emozioni del suo personaggio. Ma la sua faccia vale molto di più, e non ha bisogno di parole. Geniale anche il resto del cast, tra cui Josh Hutcherson, Elizabeth Banks, il grande Stanley Tucci e Woody Harrelson (che per me è una rivelazione).
La prima parte del film è perfetta (la Mietitura in particolare), si prende il tempo che ci vuole e alimenta l’angoscia e lo sdegno necessari ad affrontare la parte successiva. Dal treno in poi le cose cominciano a correre un po’ troppo, fino ai Giochi, quando vengono prese quelle 2-3 settimane in arena e schiacciate in un’oretta scarsa.
Alle scene nel Distretto 12 (girate in una location a dir poco fantastica) seguono quelle a Capitol City, piombiamo quindi in questa folle realtà di “pagliacci” dai vestiti eccentrici, che vivono nel lusso che solo la capitale può permettersi, e scommettono sulla vita dei tributi in attesa di un grande spettacolo (che, come fanno notare Gale e Haymitch, è l’unica cosa che vogliono). Qui l’abbigliamento, lo sfarzo e l’inconsapevolezza sono in grande contrasto con la drammatica realtà in cui vivono i Distretti più poveri.
E dopo un giusto numero di scene spese tra addestramento e strategie di gioco, “che i settantaquattresimi Hunger Games abbiano inizio!”. La scelta del regista Gary Ross di concentrarsi più sugli scontri e sul massacro tra i tributi che non sulla sopravvivenza al di là di essi (ricerca di cibo, acqua, ecc), cozza un po’ con il rating del film e l’uso − a volte eccessivo − di shaky cam. Dato il tono del film è comprensibile ricorrere spesso alla camera a mano, ma a volte risulta fastidiosa (come nella lotta finale sulla Cornucopia) o inutile (come nella scena in cui Katniss sale sul palco per la prima intervista con Caesar). In generale, mi aspettavo venisse mostrata più violenza e più sangue, essendo i Giochi il fulcro della storia.
Interessante e decisamente geniali sono le “telecronache” e i commenti live a quello che accade nell’arena, così come l’organizzazione degli Strateghi: un aspetto che spesso si trascura leggendo il libro è infatti cosa accade (e come) al di fuori del punto di vista della protagonista. Ed è anche dove hanno eccelso gli effetti in CGI (insieme alla ricostruzione di Capitol City), che hanno fatto un po’ cilecca nel resto del film: i vestiti di Katniss, infatti, non sono magistrali come ci si aspetterebbe (specialmente il primo, che sembra prendere fuoco più che essere in fiamme) e per gli ibridi se la sono cavata in notturna. Ma, dato il budget, sono abbastanza soddisfacenti.
Dopo il primo trailer ammetto di aver cominciato a temere per il doppiaggio, con il secondo fortunatamente ho tirato un po’ il fiato, e alla fine si è dimostrato per niente deludente. Soliti doppiatori per Stanley e Josh (che sono una garanzia), Flavio Aquilone per Gale (uno dei migliori per il personaggio che parla meno) e un insolitamente serio Pino Insegno per Lenny Kravitz. Discutibile la scelta di tradurre la ninna nanna, cantata da Joy Saltarelli − che tutto sommato se l’è cavata, grazie a Dio Katniss è di poche parole − e mai per intero (quando un paio di minuti li meritava eccome).
Uno dei punti di forza del film − chiaro anche a chi non l’ha visto − è sicuramente la colonna sonora. L’unico problema è che sinceramente non ricordo quando e dove è stata utilizzata! A parte alcune delle musiche composte da James Howard, non ho sentito niente (in particolare della soundtrack Songs From District 12 And Beyond, per cui è necessaria una seconda visione) e stranamente mi è piaciuto. Ci sono momenti di silenzio (musicalmente parlando) − chiaramente voluto − semplicemente perfetti (durante le scene di caccia, la Mietitura o nell’arena), in cui uccelli, vento, e foglie bastano a determinare l’atmosfera, che sia di angoscia, panico o apparente tranquillità. E altri momenti di totale ‘niente’ dove concentrarsi soltanto sull’azione.
La parte più deludente, a mio avviso, è quella finale, il post-Giochi. Completamente eliminata e rimpiazzata da una mezza intervista, una mezza chiacchierata, e un ritorno veloce al Distretto 12 (scena un po’ superflua, ma tutto sta nel modo in cui verrà trattato il sequel). Affrontate in modo eccellente invece − chiaramente in previsione del prossimo film −, le dinamiche tra le azioni di Katniss e le reazioni da parte del Presidente Snow, e in particolare molto azzeccata l’aggiunta dei dialoghi tra quest’ultimo e il Capo Stratega Seneca Crane.
Abbastanza trascurato è invece l’aspetto romantico della storia (che non è da sottovalutare, in termini di ‘numero di fan’), dobbiamo accontentarci di un bacio e di una confessione confusa e febbricitante di Peeta, al posto del mare di baci e delle vere e proprie dichiarazioni descritte nel libro. Soprattutto nelle scene all’interno della caverna, sta all’interpretazione − eccelsa − di Jennifer mostrare il confitto interiore di Katniss nei confronti dello “sfortunato amante del Distretto 12”. In generale, ho trovato alcuni aspetti di difficile lettura per chi non abbia letto il libro, nonostante i numerosi (e a volte geniali) espedienti utilizzati per colmare diverse mancanze.
Unica vera pecca: molte cose vengono lasciate non dette e non spiegate, e personaggi ora sacrificabili (come Madge, la Senza Voce, Portia, Flavius, Octavia, Venia…) diventeranno importanti nei sequel. Tanti piccoli dettagli che, se stravolti, possono fare in qualche modo la differenza. In questo senso Gary Ross ha lasciato una bella rogna a Francis Lawrence.

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