I Puffi 3D: la recensione di Emilia Iuliano

Lo schema del film è quello della fiaba, con tanto di eroe e aiutanti magici, sulla scia dei fumetti di Peyo e della serie tv di Hanna e Barbera. L’equilibrio iniziale viene rotto da un evento nefasto, ma dopo varie peripezie – che mettono in comunicazione due mondi agli antipodi destinati a un reciproco aiuto – viene ripristinato per il più classico happy end hollywoodiano, con tanto di insegnamento morale. E dunque, fino a qui, ci siamo: la trasposizione sembra fedele all’originale. Peccato che in questo lungometraggio cinematografico 3D, i Puffi smarriscano quell’essenza, quella magia dal sapore antico che è stata la loro fortuna fin dalla nascita, quel quid che forse i fan si aspettano di ritrovare al cinema, ma invano. La poesia lascia il posto alle pubblicità strillate dai grattacieli di Times Square e finirà per contagiare anche le leggendarie case-fungo (“Che è peggio!”). E’ emblematica la scena in cui i Puffi si imbattono in un vecchio libro del loro creatore: solo qui scoveranno l’incantesimo perduto che li potrà ricondurre a casa. Valicando il confine della foresta incantata per approdare a New York, gli omini blu vengono snaturati e perdono fascino, nonostante la notevole cura grafica del loro restyling, pure tridimensionale. Così, ci si sentirà decisamente spiazzati di fronte a un Grande Puffo che passeggia sulla tastiera del portatile del suo malcapitato ospite, mentre sullo schermo Wikipedia ne descrive vita morte e miracoli. E lo stesso capiterà quando Puffetta sfoggerà la nuova mise super glam appena acquistata con la soddisfazione della regina dello shopping Carrie Bradshaw e le movenze di Marilyn. La sensazione è che si sia deciso di riesumare gli eroi dei bambini degli anni Settanta e Ottanta per un pubblico, i ragazzini di oggi, che non avrebbero apprezzato la semplicità di un tempo. Ma invece di realizzare qualcosa ad hoc, di aderente al nuovo gusto come fu all’epoca un altro film misto come Roger Rabbit, o film d’animazione come Shrek e, più recentemente, Cattivissimo me, si è preferito restaurare e modernizzare un cult, diventato tale proprio per la sua dimensione arcaica. Scorrono sullo schermo sequenze che sembrano appartenere a universi altri, limitandosi a imitare personaggi e stili che hanno ormai conquistato l’immaginario collettivo proprio grazie al successo di più riuscite trasposizioni cinematografiche. L’operazione, infatti, stride come ad esempio accade quando Patrick (Neil Patrick Harris), il pubblicitario umano che dà rifugio ai Puffi a Manhattan, si cimenta con loro in un siparietto canoro, che richiama chiaramente Alvin e i Chipmunks, ma senza il loro carisma. Gargamella (Hank Azaria) è forse l’unico che conserva la sua ingenua perfidia e goffaggine, e qui manifesta qualche originale tratto di volgarità, nonostante le sue gag da Slapstick comedy regaleranno qualche risata soltanto ai più piccoli. Riuscito, risulta anche il ruolo di Brontolone: il suo tormentone “Io odio questo e quello” diventa la faccia ironica del film.

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Mi piace
La morale: lo schema dei fumetti e delle avventure del serial animato, che si chiudono sempre con un insegnamento, non viene alterato. Il siparietto da FAO Schwarz, dove i Puffi vengono scambiati per veri giocattoli.

Non mi piace
Soprattutto le forzate e ripetute spiegazioni didascaliche sull’origine degli ometti blu, fornite dagli stessi protagonisti.

Consigliato a chi
Ai bambini che non hanno conosciuto i vecchi Puffi: il film non rovinerà loro dolci ricordi.

Voto 2/5

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