I segreti della mente: la recensione di Gabriele Ferrari

La prima domanda che salta alla mente non appena terminata la visione di I segreti della mente è: «Quand’è che inizia?». Dopo un’ora e mezza di spot contro i pericoli delle chat su Internet, praticamente una pubblicità progresso come non se ne vedeva da metà anni Novanta, è legittimo il desiderio di godersi finalmente un film. La speranza, inutile dirlo, è vana.

Alcuni fatti: I segreti della mente è il secondo film occidentale per Hideo Nakata, regista della versione giapponese di The Ring. È il suo primo ambientato in Inghilterra ed è tratto da una pièce teatrale di Enda Walsh, drammaturgo irlandese che di recente ha prestato la sua penna anche per la sceneggiatura di Shame di Steve McQueen. Al centro della storia un gruppo di star-o-presto-tali britanniche, da Aaron Johnson (Kick-Ass) a Imogen Poots (Fright Night): cinque ragazzi che si incontrano in chat per discutere delle proprie debolezze, incoraggiandosi vicendevolmente a dar sfogo a frustrazioni e odii sopiti. Il tutto orchestrato dal creatore della chat, William (Johnson), lui per primo in cerca di un sollievo dalle sue turbe.

Trasporre su schermo lunghe conversazioni in chat darebbe ovviamente vita a un film noioso, e Nakata decide di aggirare il problema rappresentando la chatroom dove i cinque protagonisti si incontrano come una vera e propria stanza: il giochino è interessante all’inizio, ma invecchia molto in fretta, soprattutto quando è chiaro che l’idea che Nakata ha di Internet è completamente fuori fuoco. Pervertiti vestiti di pelle, obese cinquantenni in cerca di piacere facile, aspiranti suicidi, bulli urlanti (in spagnolo, tanto per metterci anche un po’ di razzismo): nessuno è normale su Internet, ed è facile perdersi tra i suoi peccaminosi corridoi. Questa visione della Rete, che assomiglia pericolosamente a quella di un settantenne terrorizzato dalla modernità, stride ancora di più se confrontata con gli sprazzi di vita reale che il film regala: il grigiore della Londra urbana, i “soliti” disadattati che prendono antidepressivi e hanno pensieri suicidi, genitori apprensivi e carichi d’amore, figli che non li capiscono. È un’idea reazionaria, e spaventa pensare che provenga da uno come Walsh, drammaturgo quarantenne e non anziano parruccone vicino alla pensione.

Anche tralasciando questo inquietante messaggio, che magari potrebbe convincere qualche genitore a monitorare computer e iPhone del figlio diciottenne, resta un problema molto più grosso: I segreti della mente è un film noioso e mal realizzato. Manca un ritmo e una storia coerente, i personaggi scompaiono dal radar per poi venire riproposti a sorpresa, persino le soluzioni visive (si segnalano in particolare due spaventosi corti in stop-motion) tracimano pacchianeria e pessimo gusto. Né aiuta l’interpretazione dei cinque protagonisti: Johnson è discreto nel ruolo del ragazzo disturbato in cerca d’affetto, ma la Poots è tanto graziosa quanto inespressiva, il Matthew Beard di An Education è talento sprecato e gli altri due (Hannah Murray e Daniel Kaluuya) ricadono nella categoria dei non pervenuti.

Più di tutto il resto, a I segreti della mente manca una sceneggiatura. Infilare una serie di dialoghi, intervallarli con immagini che dovrebbero essere disturbanti e cucire insieme un finale rattoppato giusto perché in qualche modo bisogna chiudere l’arco narrativo non è sufficiente a fare un film. Il che forse è un bene: un messaggio così spaventoso e retrogrado avrebbe potuto beneficiare di un’architettura cinematografica valida, mentre così I segreti della mente si limiterà a finire nel dimenticatoio.



Mi piace

Aaron Johnson quando recita. Imogen Poots quando è inquadrata.


Non mi piace

Il messaggio moralista e antimodernista. L’assenza di una storia interessante e di una sceneggiatura coerente.


Consigliato a chi

Ha paura che l’iPhone del figlio nasconda orribili segreti.


Voto: 2/5

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