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Il fuoco della vendetta: la recensione di Marita Toniolo

Il fuoco della vendetta: la recensione di Marita Toniolo

Out of the Furnace è prima di tutto un film di attori. Intensi, toccanti, straordinari. Come Christian Bale, che incarna con la consueta sapienza un uomo semplice e onesto, dal cuore puro, di nome Russell Baze. Russ ha iscritta nel suo dna la vocazione da vittima: operaio solerte in una fabbica della Pennsylvania, figlio affettuoso nei confronti del padre malato terminale, fratello premuroso, compagno leale e romantico verso la donna che ama. Meriterebbe che la Provvidenza divina lo riempisse di doni, ma la sua bontà lo rende vulnerabile. Specie quella debolezza per il fratello minore Rodney, reduce di guerra (un Casey Affleck sempre a suo agio nei ruoli borderline), e che lo porta a essere coinvolto in un incidente d’auto dopo essere stato “costretto” dalle circostanze a bere.

Sconterà diversi anni di prigione, ma al suo ritorno troverà il padre morto, il fratello sempre più implicato nei loschi affari di un traffichino di bassa lega (Willem Dafoe) e la compagna (Zoe Saldana) legata allo sceriffo del paese (Forest Whitaker) e di lui incinta. E, nonostante tutto, per merito anche della sua radicata fede religiosa, si farà animo e cercherà di ricostruirsi una vita. Ma per sua sfortuna l’insopprimibile istinto di morte di Rodney, incapace di dimenticare gli orrori compiuti e subiti in Iraq, lo trascinerà nuovamente nei guai, quando il fratello si farà coinvolgere in un giro clandestino di combattimenti a mani nude.

Il fuoco della vendetta è l’ennesimo film degli ultimi anni sull’antiamerican dream. Solo che sceglie la strada di renderlo disperante invece che grottesco, come avevano fatto ad esempio i Coen con Non è un paese per vecchi. Vuole emulare i classici anni ’70, prendendosi persino la licenza di citare Il cacciatore di Cimino. Ma lo fa in modo troppo pedissequo, prevedibile a ogni svolta, a causa di una sceneggiatura troppo rigida che fa della predestinazione la sua firma in calce. Russell Baze è la vittima sacrificale dell’America passata da Bush Jr. a Obama, il Povero Cristo delle fabbriche in odor di chiusura, il caprio espiatorio di una società che genera bravi ragazzi e poi li getta in un inferno fatto di violenza e crudeltà.

Nel suo non offrirci nulla di nuovo, Il fuoco della vendetta di Scott Cooper (che molto meglio aveva saputo fare con Crazy Heart, anche per merito di un immenso Jeff Bridges) è un proclama di infelicità e mancanza di fiducia nei confronti delle istituzioni, ma anche degli uomini, ingranaggi ingenui di un meccanismo che li stritola e pertanto incapaci di ribellarsi. La fotografia opaca, la dolente colonna sonora, l’impossibilità di una vera redenzione e il desiderio bruciante di vendetta, trasformano il film in una via crucis programmatica e peraltro scontata, ma che ha dalla sua la bellezza di una ballata malinconica e dolente.

Leggi la trama e guarda il trailer

Mi piace: la sua dolente bellezza da ballata malinconica
Non mi piace: la sceneggiatura troppo prevedibile
Consigliato a chi: ama le grandi interpretazioni. Bale, Affleck, Dafoe, Whitaker e Shepard, radunati assieme, sono i veri motori del film.

VOTO: 3/5

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